Tigre du Bengale (Malbrum) vs Tiger’s Nest (Memo Paris). La Maestà Ruggente diventa profumo
È uno dei doni meravigliosi del Creato. Poeti, scrittori, pittori e, oggigiorno, pubblicitari ne traggono ispirazione. Che tu sia un appassionato di safari o, ahimè, un pericoloso bracconiere – o forse un puro spirito bambino – non puoi che rimanere senza fiato alla sua comparsa: Sua Maestà, la Tigre.
La terrifica Regina degli Animali è oggi il più grande felino vivente del cosiddetto genere Panthera – che comprende leone, giaguaro e leopardo – ed è sicuramente anche il più magnetico. Raramente la natura è riuscita a plasmare un essere di una così inoppugnabile bellezza commisurata da tanta imbattibile ferocia; nella belva dal celeberrimo mantello striato forza e regalità convivono, ma anche “agghiacciante simmetria”, come ebbe a scrivere William Blake nella sua famosa poesia “Tyger Tyger”.

Strie, zanne e artigli sono i suoi segni distintitivi assieme agli inquietanti occhi gialli e l’inconfondibile sordo ruggito capace di desertificare la giungla da qualsiasi respiro o movimento. A suo completo agio in acqua e ottima arrampicatrice, potrebbe senza alcun problema rincorrere le proprie prede, ma preferisce tendere agguati nascosta nell’ombra. Al momento opportuno, s’avventa sul malcapitato di turno con spettacolari balzi delle robuste zampe anteriori; poi, se la vittima prescelta è di piccole dimensioni, ne spezza il collo addentandolo nella zona posteriore; altrimenti, se la mole dell’avversario è considerevole, lo azzanna alla gola schiacciandogli la trachea, provocandone la morte per soffocamento. Questo efferato modus operandi, in aggiunta all’aspetto attraente e ipnotico, hanno fatto sì che la belva, in chiave simbolica, assumesse sia connotazioni positive che negative
Presente in quasi tutte le cosmogonie, la vis totemica della thigra – nome originario che in iraniano significa “aguzzo, tagliente” – può incarnare a seconda delle situazioni la potenza, il coraggio e l’autodeterminazione come pure il buio, la perdizione e i lati oscuri dell’animo.
Sempre attirato dai panorami esotici e inesplorati e dalle meraviglie viventi che li animano, nemmeno il mondo della profumeria artistica è immune dal fascino oscuro dell’invisibile felino e molti sono i marchi che hanno tentato di distillarne l’essenza ferina tramite codici olfattivi. Nell’ultimo ventennio la possenza regale della tigre ha acceso l’istinto visionario di molti compositori; fra i precursori della tendenza, James Heeley nel 2006 usciva con Esprit du Tigre, jus canforato e balsamico, dichiaratamente ispirato al noto rimedio medicamentoso cinese; nel 2010 Julian Bedel di Fueguia 1833 ritraeva l’aura poetica della fiera dedicandole una fragranza omonima alla poesia di Borges, El Otro Tigre: un tenero intrico di note fiorito/muschiate, morbide come soffice sottopelo.
Anche il “mistico” artigiano Ensar Oud non poteva esimersi dal tema e nel 2019 ci regalava Tigerlust, resa a tinte forti, carnale e sessuale dell’animale. La linea che si evince dalle varie scritture olfattive è un’emersione in duplice valenza della fiera: quella puramente faunistica, che la omaggia per quello che è e per l’ambiente in cui si muove e quella poetica-spirituale, che la carica di simbologia e mito.

Capisaldi di queste due diverse accezioni interpretative sono le esemplari fragranze Tigre du Bengale di Malbrum Parfums e Tiger’s Nest di Memo Paris: uno scontro ad altissimi livelli, in cui fra imboscate nell’ombra, morsi letali e balzi intellettuali si contendono il titolo di migliore “Profumo di Tigre”.
Tigre du Bengale: la thigra fotografata in natura da Malbrum Parfums
L’arruffato e carismatico B.Kristian Hilberg – aka Malbrum – ideatore del marchio norvegese omonimo, mostra nelle rare fotografie che lo ritraggono un aspetto tigresco, pur essendo cresciuto fra Oslo e Grasse. Appassionato di profumi sin da bambino, ha trascorso la giovinezza diviso fra le più svariate occupazioni e lunghi viaggi; in questi ha accumulato un bagaglio di esperienza nello scovare i più preziosi olii, gli estratti rari, le assolute cesellate da nasi artigiani, ma anche molecole chimiche inedite.
Ossessionato dall’intento di gettare un ponte olfattivo fra la purezza delle materie grezze e l’eleganza ricca di gusto della tradizione francese, Hilberg ingaggia nel 2014 il Naso Delphine Thierry per aiutarlo nella nascita del proprio piccolo laboratorio di fragranze. È del 2015 il debutto a Esxence con la collezione Volume I, nella quale i temi olfattivi sono proposti a sua detta “down to earth”, cioè in chiave realistica, tridimensionale. Fra i tre jus componenti Volume I ne spiccava uno in particolare, una sorta di polaroid liquida, scabra e intensa, che cattura una tigre nel suo habitat naturale: Tigre du Bengale.
La tigre del Bengala è praticamente “La” tigre dell’immaginario collettivo, caratterizzata dal tipico mantello arancione con le classiche striature. Il suo nome scientifico è “Panthera Tigris Tigris” e designa la sottospecie di tigre più grande dopo la siberiana; la sua popolazione è ormai ridotta a poche migliaia di esemplari, concentrati soprattutto nella regione che si estende tra Bangladesh e India, nota, appunto, come Bengala. Carnivoro dalla stazza imponente, è in grado di mangiare anche più di 20 kg di carne al giorno o, al contrario, di rimanere a lungo senza cibarsi. Di carattere schivo e solitario oltre che territoriale, mal tollera la vicinanza con altri animali, anche della stessa specie.
A questa maestosa figlia di Madre Natura divenuta così famosa forse mancava solo una connotazione olfattiva: cosa cui supplisce egregiamente Malbrum con la sua istantanea in bottiglia. Tigre du Bengale esordisce con una ripresa in campo lungo di una macchia umida e nebbiosa fra le mangrovie; lo scontro fra il cardamomo – corroborante, ma anche lievemente fiorito e mielato – e l’olio di ginepro – fresco, pungente e balsamico – genera l’effetto di vapore acqueo denso e appiccicoso di una boscaglia tropicale.

Nella perigliosa calma piatta della giungla, vi è un mormorio di versi, un ciangottare confuso di foglie e insetti… Lo sguardo si restringe su un particolare: le cortecce degli alberi sono graffiate e, nell’aria madida di sudore, un sentore selvatico fa inarcare le radici. La tigre ha marcato il suo territorio: la ruggente mirra, infilzata dal castoreum, bagna di umori i legni, evocando in straordinario realismo quella che è una funzione biologica tipica dei felini.
Dopo le movenze aromatiche ingentilite dalla malizia sudaticcia di mirra e note cuoiate si approda ad un cuore tenero, quasi gourmand: Malbrum ci costruisce la suggestione di affondare con le dita nel manto vellutato della bestia; ne percepiamo la possente muscolatura, avvertiamo il fragoroso fiotto di sangue che ne attraversa le vene. Questo terrore che cammina con la coda ha un odore che accarezza i sensi: confortevole e seducente, ci trasforma in prede arrendevoli.
Con lievi accenni incensati che gettano nebbiolina di mistero e riserbo, Tigre du Bengale chiude attenuando gli artigli: non incalza, ma, forse per indolenza, afferra i polsi con una durevole delicatezza skin scent. Quando ti sembrava di averla vista, lei ti ha già guardato e stavolta sceglie di graziarti e… dileguarsi.
La pregevole qualità di naturali e sintetici – entrambi dichiarati da Malbrum nella descrizione delle sue composizioni – è palese: nessuna nota esorbita o cede, il blend è serrato e godibilissimo anche dal naso meno avvezzo. Il finish sgranato trasforma la polaroid in una foto vintage con un finale toccante: impossibile non amare, pur con le dovute distanze, la superba Tigre del Bengala.
La caverna balsamica della tigre: Tiger’s Nest di Memo Paris
Su di un picco montuoso, nella verde valle di Paro in Bhutan, si trova abbarbicato alla roccia il monastero di Taktsang, anche denominato Tiger’s Nest, la tana della tigre. Considerato il cuore del buddismo himalayano, questo prominente sito sacro eretto a partire dal 1692 affonda le sue radici nella leggenda. Pare infatti che Guru Rinpoche, il fondatore, iniziò la tradizione buddista in Buthan volando dal Tibet in groppa a una tigre; con il tempo, quella che in origine era una spartana caverna di predicazione divenne un assembramento di templi e santuari incredibilmente sospesi a più di tremila metri sopra il mare.
Il legame con la tigre è presente in molte storie del buddismo perché i monaci ne venerano l’indole nobile e maestosa, qualità da perseguire per qualsiasi persona che affronti un cammino evolutivo; anche nelle discipline marziali il suo incedere elastico e flessuoso ispira ideali di equilibrio, integrità interiore, uso controllato della forza e, per traslato, la capacità di discernimento fra bene e male. La potenza cosmica che la permea secondo la tradizione orientale è tale da farla assurgere a rango divino e l’energia che scaturisce dal suo spirito è quella contenuta nell’elemento Fuoco.
L’areale di Paro è costellato di raffigurazioni dell’animale sacro, la cui immagine ha anche la funzione di tenere lontane le entità malevole. Il rifugio divino, vetta religiosa, culturale e naturalistica attira da secoli schiere di fedeli che, con pazienza, si inerpicano sull’altura per pregare e meditare e, così, la sua sbalorditiva bellezza mistica ha innescato la scintilla dell’illuminazione perfino in Francia, in Clara Molloy e il marito John, ideatori e proprietari di Memo Paris.
Affascinati dal concetto di viaggio come esperienza di per sé al di là della destinazione, la coppia di creatori ha deciso di infondere nella loro linea di fragranze tutto l’amore “dell’andar per il mondo”, dell’assaporare consuetudini sconosciute e interiorizzare gli insegnamenti che ne scaturiscono. Memo Paris ha così trovato un posto d’onore nella profumeria artistica grazie alla pertinente esplorazione sensoriale attuata con una mappa ormai globale di profumi ricercati e suggestivi.

Uscito nel 2018, Tiger’s Nest convoglia in liquido intere pergamene di ammaestramenti, milioni di passi sugli irti sentieri accidentati che conducono a Taktsang, centinaia di giri di ruote sacre che spargono preghiere al vento, ma non solo. Con un filo rosso che idealmente congiunge il Buthan alla Cina e alla sua venerazione per la regina tigrata, il jus francese occhieggia al più famoso rimedio medicinale della tradizione cinese: il balsamo di tigre.
Il nome di questo epico farmaco non deve trarre in inganno: non contiene alcun ingrediente di origine animale, tantomeno derivante dalla belva. Alcune antiche dicerie raccontano che i medici cinesi fossero soliti sbriciolare ossa di tigre all’interno dell’unguento. In verità, il brevetto registrato a Singapore dalla Haw Par Corporation contiene paraffina, canfora, mentolo, cajeput (melaleuca), menta e chiodi di garofano. Dotato di eccezionali proprietà analgesiche e antinfiammatorie, può essere impiegato per svariati problemi di salute. Riconoscibile proprio per l’odore robusto ed intenso, dalle decise nuance petrolate, tuttavia, per il medesimo motivo, non risulta a tutti gradito.
Nell’avvio di Tiger’s Nest, Memo ne evoca le sfaccettature canforate ovviamente in un’accezione mitigata. L’effetto è raggiunto con la balsamica contrattura di lime contro un croccante e aereo assenzio; i due ingredienti ingaggiano una lotta che sprigiona aldeidi leggermente boozy. Il fuoco glaciale è tenuto a bada dal ruggito sordo dell’ambra che arcua gli artigli e placa l’ardore. L’evoluzione da qui in poi si dirige invece in Bhutan, verso Paro.
Il volo incensato a ridosso dei muscoli suede dell’osmanto è un’immersione nella mente felina, un inabissamento nell’eloquenza sublime del Presente. Questa tigre, che ha il mantello morbido come vaniglia, colorato e odoroso di zafferano, vergato di balsamo del Tolu, è pura e semplice forza, è Fede e Fermezza. Con le narici annusa il Mondo, infonde tranquillità e riparo dalla malvagità. La variegatura balsamica si fa di nuovo prominente, ma non come nell’inizio: ora è più silente, vellutata.
Sopraggiunti a Taktsang, cioè alla tana spirituale, il tocco da maestro di Memo: il fondo si frantuma, la nota preziosa del papiro dona una aggraziata venatura cartacea, di vecchie pergamene, ancora intrise di incensi e preghiere devote. Qua e là, petali sparsi si posano al cospetto delle sacre zampe. Infine, la chiusura asciutta, essenziale, su un ambra che invita alla meditazione. In questa composizione dalla complessa e spiccata personalità ci sono potenza, ma anche calma e controllo, schema perfettamente seguito anche da scia e persistenza: incisive ma mai incalzanti. Una fragranza elastica, sinuosa e introversa, come sua Maestà Ruggente.
Le due tigri, indolenti, roteanti gli occhi gialli, serrano le fauci, ritraggono gli artigli, si allontanano. Chi ne esce vittoriosa è la profumeria artistica che con Tigre du Bengale di Malbrum e Tiger’s Nest di Memo si arricchisce di opere di estremo valore, ben oltre l’olfattivo. Due tigri fragranti che infondono rispetto per la natura, curiosità per le tradizioni culturali millenarie e desiderio di conoscenza di sé… Della propria “agghiacciante simmetria”.
“(…) Imita la tigre,
Indurisci i tuoi muscoli, eccita il tuo sangue,
Nascondi la tua lealtà sotto la fredda rabbia.
E infine dà al tuo sguardo
l’orribile splendore.“
William Shakespeare
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Bravissima Melissa