The Eaters and The Haters. Il banchetto sinestetico di Angelo Orazio Pregoni
Detestato, ma al contempo idolatrato. Temuto e respinto, perché impossibile da imbrigliare, ma silenziosamente stimato per la sommossa culturale di cui è (ahimè) unico promotore all’interno della profumeria artistica internazionale. Angelo Orazio Pregoni è un personaggio che divide e attrae.
Qualsiasi definizione del suo essere artista risulta troppo stretta e riduttiva. È un profumiere? Sì, crea fragranze fuori dagli schemi che scombinano le sacre leggi del profumo, ma è anche uno scrittore di libri corrosivi, ma è anche autore di performance costruite per risvegliare le coscienze dal sonnambulismo sociale. Che abbia in mano una mouillette, una penna o un pennello ha poca differenza, Pregoni rimane sempre un artista fastidioso, uno che non si fa problemi a prenderti a spintonate pur di vederti fuori dal recinto, insieme a lui. E questo lo rende un uomo prezioso, da amare e da seguire in ogni suo gesto di guerriglia.
La sua prossima azione sovversiva si compirà il 14 Novembre, a Milano. Dopo Please don’t touch me, il perfume maker genovese tornerà sulla scena, infatti, con un’altra controversa opera d’arte: un cazzotto sul naso (ah sì, è anche un boxeur) intitolato The Eaters and The Haters.
Anche questa volta, con mano ferma e sguardo furioso, Pregoni dipingerà essenze inebrianti e penetranti su una superficie che ansima, suda e freme. Anche questa volta, come nella precedente performance, il suo soggetto sarà una donna data in pasto alla vista e all’olfatto di un pubblico famelico, una donna costretta in uno stato di fragilità e sottomissione da una benda posta sugli occhi, ma resa potente e forte da una nudità emancipante.

The Eaters and The Haters sarà il secondo lavoro di “antropomorfismo olfattivo” della storia, portato in scena per denunciare a colpi di pennello ed essenze l’ipocrisia divorante che avvelena l’identità femminile, che la rende inerme nutrendola con diktat sociali avariati.
Commette un grave errore chi etichetta come crudo voyeurismo le performance di Pregoni e il suo ossessivo ricorrere alla nudità. Per Angelo Orazio Pregoni tutto ciò che è autentico si presenta privo di filtri, senza veli ed è profanatore di dogmatiche, vuote verità. Nella sua arte il corpo femminile, coperto solo da una benda, è realistica allegoria della condizione sociale della donna: bloccata dalla progressiva perdita dei diritti e intrappolata sempre più dalla morale comune e da un vischioso maschilismo, tuttavia spirito libero.
E così che, sotto le mani di Angelo Orazio Pregoni, il corpo femminile, condito con essenze e profumi, diventa un bacchetto salvifico che mette in discussione la morale comune, un dipinto che spinge a riflettere e un carnale speculum societatis da vedere, odorare, sperimentare affondandovi i sensi per comprenderne il valore, come spiega lo stesso Pregoni: “Il primo telo è stato venduto a 40.000 euro. Il suo valore tuttavia è simbolico e aumenterà molto presto perché, nell’arte contemporanea, il valore monetario di un’opera ne denota il prestigio, non il concetto ed è strettamente collegato a dinamiche di marketing come qualsiasi altro prezzo. Ma con il progressivo affermarsi della veridicità di quel concetto, con la necessità di una rivoluzione culturale delle donne e per le donne, presto quel dipinto non avrà più un valore pecuniario rappresentativo, avrà solo un valore storico impagabile“.
The Eaters and The Haters
Live Performance di Angelo Orazio Pregoni
Installazione di Marco Ventura
Quando: Giovedì 14 Novembre 2019 (ore 20.30)
Dove: CnC Hub, Alzaia Naviglio Grande 108, Milano
Per informazioni e per confermare la partecipazione: staff@pleasurefactory.it

Per cogliere la portata emozionale della nuova mise en espace di Angelo Orazio Pregoni basta leggere le suggestioni di due spettatori speciali – lo storico dell’arte Valentino Scrima e la psicofisiologa Valentina Catallo – voci autorevoli che descrivono le sensazioni scatenate da Please don’t touch me con vivo realismo e acume critico in due brillanti testimonianze: un’anticipazione sull’atmosfera sinestetica che inghiottirà i partecipanti al prossimo rivelatorio, lavoro artistico, The Eaters and The Haters.

“Il pasto nudo. Diario sentimentale di un rito”
Fisso gli occhi negli occhi di Angelo Orazio Pregoni, tagli grigi nella grotta profonda delle sopracciglia. Un rivolo di sudore mi corre lungo la schiena mentre penso: non è un uomo, è un lupo, un vampiro. Forse in questo momento sta captando la mia traspirazione. Se è sinestesico, come dice, sarà come gli animali: avrà i sensi più sviluppati; non lo si può ingannare.
Sono stato invitato in ufficio per vedere la tela impiegata nella performance del 20 giugno. Una serata il cui profumo mi è rimasto addosso. Ricordo bene l’attesa all’esterno del capannone industriale sul naviglio. Per una volta non sapevo cosa attendermi, ma il titolo dell’evento Please don’t touch me mi rassicurava: sembrava promettere un’esperienza non tattile, dunque indolore, da praticare a debita distanza, solo olfattiva.
Rieccomi al 20 giugno. “Siete riusciti a entrare? La cerimonia sta per cominciare“. Una volta dentro, la folla di spettatori è divisa in maschi e femmine. “Che senso ha?”, penso. “Esistono ancora queste differenze? Neanche più a messa vengono separati i sessi”. Evidentemente un motivo c’è: l’esperienza va vissuta da soli, soli nella folla, senza il sostegno confortante di un eventuale partner.
Fa caldo. Al centro un tavolo coperto da una tovaglia, pare imbrattata di sangue. Il telo non aderisce al piano ma nasconde qualcosa, un corpo o un manichino: “bello come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio“. In sottofondo una musica elettronica, scandita dal battito di due barre di ferro, a creare il ritmo ipnotico del rito tribale, accordato sulla pulsazione del cuore. Ma il rintocco è un omaggio ai rumori di Milano, è stridulo, provocato da Marco Ventura, artista-costruttore dalla barba lunga e gli occhi buoni. È seduto nella cabina di guida di uno strano tram composto di scarti urbani.

Gli occhi di Angelo, invece, non sono buoni. Quando appare, ha l’aspetto di uno stregone. Alto, magro, pallido, sembra un padre gesuita d’altri tempi, una figura da romanzo gotico, Claude Frollo nel Notre-Dame di Hugo. Si avvicina al pubblico, abbraccia qualcuno, annusa e tocca (a smentire il titolo della performance), sceglie le sue vittime. Molti, come il sottoscritto, si ritraggono per non essere individuati.
Ogni rito propiziatorio prevede un sacrificio. I prescelti sono chiamati a rinunciare ai loro abiti, alle loro difese, e assumono la nuova identità di iniziati rivestendosi di profumo. Una volta indossata la nuova maschera, si accomodano sul tram, in un clima di sottile imbarazzo erotico, tipico della promiscuità dei mezzi pubblici. Siamo in uno spazio sacro ma la città all’esterno non è esclusa, bensì ricreata: il rito simula l’esperienza quotidiana dell’incontro con l’altro. E, come succede regolarmente in metropolitana, l’aria incomincia a impregnarsi di un odore acre, insieme disgustoso e inebriante.
L’introduzione cerimoniale sembra essere giunta al suo culmine. È il momento dell’agape, della preparazione del pasto comunitario. Angelo si volge con la tensione di uno sciamano vudu verso il tavolo, l’altare dei sacrifici. La vittima ansima un po’, il sudario si muove appena, evidentemente non è un manichino. Anche lei aspetta, è in uno stato liminale, come la creatura del dottor Frankenstein o la mummia di Lazzaro pronte a tornare in vita. O forse è in attesa di essere mangiata, come in un film di Greenaway.
No. È in attesa di essere profumata, pur se attraverso il velario. Angelo danza intorno alla tela libando oli essenziali. Offre le primizie del suo raccolto. Schizza e cola, fecondando la sua opera, con uno scrupolo d’alchimista. Bada però a non sbagliare la ricetta, la formula magica. Si muove con lo scrupolo di un chirurgo, senza la foga sessuale di un action painter.

L’opera è pronta, il lenzuolo viene rimosso, e sotto appare una ragazza, prosperosa e implume. È bendata, evidentemente per proteggere gli occhi, ma l’effetto è bondage. Il pubblico è chiamato ad annusarla, a cibarsi del suo aroma. L’atmosfera irreale ha spogliato anche gli spettatori delle loro inibizioni e i nasi ispezionano ogni parte del corpo. Odorano la pelle di lei e la pelle dei passeggeri del tram, anch’essi nudi. E poi finalmente si avvicinano alla sindone, che sollevata si scopre essere una riproduzione pittorica della ragazza bendata e nuda.
L’esperienza è finita: io avverto un lieve stordimento e mi defilo. Giorni dopo vengo invitato a vedere la tela. Forse a esprimere un giudizio: è il mio timore. Nell’avvicinarmi, a distanza ancora di qualche metro, ne sento il profumo, ricordo il profumo, aspro e melenso. È un’emozione memoriale, come quella di Stendhal commosso a sentire l’effluvio di stallatico della sua Milano.
Sono curioso di vedere l’opera a mente fresca, senza condizionamenti emotivi. Ed eccomi di fronte. È un bellissimo cotone, biologico, tutto a macchioline, come efelidi: dagli esperimenti di Burri e Kounellis si sa quanto la tessitura, la fibra vegetale possa richiamare la carne, l’epidermide. È stato foderato di lino e intelaiato senza cornice, ma con due ruote di bicicletta alla Duchamp, a ricordare l’esperienza metropolitana (un’idea di Ventura).

Fisso in silenzio la tela, cerco un senso a ciò che vedo. Il dipinto è un dipinto. Angelo mi spiega che ha mescolato l’acrilico al whiskey e al caffè, mi mostra l’alone violaceo delle colature alchemiche. Il dipinto è un dipinto. La modella è un’artista di nome Leandra, ha un gran seno, naturale, e qualche piccolo tatuaggio qua e là: è stata riprodotta sulla base di una fotografia e staccata dal fondo neutro con una sorta di griglia tartan in rosso e nero. Il dipinto è un dipinto. Emanerà il profumo ancora per quindici anni e resterà a memoria di un’esperienza che è stata, che non si ripeterà.
Io stesso dimenticherò. Dimentico tutto. Della vita qualche fotografia, qualche scritto, ahimè inodori.
Valentino Scrima
“È veramente possibile che un artista scavi all’interno della psiche dei suoi spettatori?”
Sicuramente è quello che è riuscito a fare Angelo Orazio Pregoni attraverso un rituale che si è trasformato in un dialogo fatto di abbracci, di sguardi e di gesti.
Assistere a Please don’t touch me – linea 42 è stato come immergermi in un mondo iperreale creato dall’artista per metterci davanti alla possibilità di scegliere qualcosa di diverso rispetto alla moralità imposta dalla società. Al centro della sala un tram e un telo predipinto che cela il corpo di una donna. La realtà creata da Angelo è fisicamente davanti a me, ma per poterci accedere devo comprendere le variopinte emozioni dalle quali sono assalita.
Per salire sul tram l’unico biglietto da pagare consiste nello spogliarsi e nel profumarsi. La nudità infatti è l’unico elemento che ci permette di abbandonare tutte le sovra-strutture della moralità e tornare alla parte più primitiva di noi. Angelo accompagna degli spettatori vicino al tram, solo alcuni decidono di spogliarsi ma tutti noi restiamo ad osservare la scena domandandoci cosa saremmo disposti a fare per raggiungere quel mondo che tanto desideriamo.

Elemento predominante della performance è l’azione pittorica svolta davanti al pubblico tramite lancio, dripping e pennellature di essenze e profumi sulla tela predipinta. I gesti dell’artista sono veloci e apparentemente casuali ma nascondono un’estrema sensibilità verso la valorizzazione del corpo femminile e il suo accudimento. La donna non è un semplice oggetto che permette il compimento dell’opera, bensì la portatrice del messaggio di Angelo.
Per la prima volta è stato l’olfatto a guidare la mia esperienza sensoriale e a risvegliare le emozioni che difficilmente affiorano in un mondo dove le stimolazioni visive e acustiche sono in continuo aumento e ovattano ciò che le circonda.

Quando il dipinto viene sollevato, resta il corpo nudo di una donna: la libera tentatrice.
Un corpo non sessualizzato, ma che richiama a sé tutti gli spettatori. Fin dalle origini dell’uomo l’olfatto è stato il senso utilizzato per fiutare la preda e la prima sensazione che ho provato vedendo il pubblico avvicinarsi a questa donna e annusarla è stato quello di un collettivo risveglio animalesco che ci spingeva verso di lei come dei cacciatori. In realtà però, in questa performance la donna non è preda, non è perduta o incompleta ma porta a sé gli uomini ricordando lo spirito primitivo e selvaggio di tutte noi, che cosparso di essenze non può più essere messo a tacere.
Il dipinto, che è stato poi esposto, è l’elemento che possiede maggior valore.
Per la prima volta la traccia indelebile di una performance non è un elemento puramente visivo, ma polisensoriale. Per i prossimi 15 anni infatti, chi si troverà davanti ad esso avrà accesso alle stesse emozioni provate dagli spettatori della performance.
Please don’t touch me è un inno alla libertà, da vivere e da raccontare.
Valentina Catallo
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