L’Innommable. Il profumo che alimenta la leggenda di Serge Lutens
Che fine ha fatto Monsieur Lutens?
No, non è il titolo di un remake della celebre pellicola di Aldrich in chiave olfattiva, ma una lecita domanda. Nella nuova era della profumeria, in cui Nasi e fondatori di marchi fanno a gara a chi si espone di più sui social, il Mago delle Essenze è il simbolo della ritrosia mediatica.

Da tempo vive nel suo buen retiro a Marrakech, in una dimora che secondo i ben informati assomiglia sempre di più ad un museo; il Maestro preferisce la compagnia del silenzio africano, che gli sussurra leggende di marabutti, erbe miracolose, resine mistiche e riti dimenticati. Ammantato di mistero e schermato dalle sue rare esternazioni criptiche, egli tira i fili della Maison al riparo dal clamore europeo, emaciato e malinconico, ma sempre con un guizzo metallico negli occhi scuri… Come un antico e inquietante Conte.
Tuttavia, di recente il marchio Serge Lutens – che dal 2015 è sotto l’egida Shiseido – è stato oggetto di un ingente rinnovamento organico; ora il complesso di opere lutensiano è un sistema di collezioni e linee parallele a quella originaria.
Il riassetto globale del catalogo e le nuove aggiunte hanno però destato nel mondo degli appassionati un certo scalpore, a partire dall’introduzione nel 2015 della Section D’Or, un insieme di jus “incendiari”, dall’elevato prezzo, che hanno spiazzato i fanatici di Lutens, abituati alla sua sobrietà; dall’altro lato, nel 2019, le Eaux de Politesse, hanno diviso ancora il pubblico per la loro algida intimità. Sembra che il Maestro, nonostante abbia raggiunto quella che per molti è l’età della pace dei sensi, fatichi a bilanciare il suo amato “nero su nero” e il suo bianco.
Un lacerante lavorìo interiore prolifica nell’assordante quiete di Marrakech e da questo, nel 2018, Lutens ha partorito l’idea di selezionare 10 composizioni fra le più famose e di riproporle in una veste inedita, dal packaging al quantitativo.

Ecco nata la Gratte-Ciel Collection (dalla silhouette delle bottiglie che riproduce le fattezze dei grattacieli newyorkesi in stile Art Decò), in cui oltre a 10 fragranze storiche – Borneo 1834, Fumerie Turque, De Profundis, Muscs Koublai Khan, Chêne, Fille En Aiguilles, Louve, Serge Noire, Tubereuse Criminelle, Cuir Mauresque – sono altresì presenti tre creazioni ex-novo: L’Innommable, Perilleusement Votre e La Proie Pour L’Ombre.
Ed è attraverso i tre ultimi inserimenti e l’arcano concept loro sottostante che la Gratte-Ciel ci restituisce il ritratto frammentario del Maestro stesso: un tratteggio scabro ma efficace, che racconta non solo la poiesi artistica ma anche il bildungsroman personale. La difficile infanzia, la tormentata adolescenza, la faticosa ma inarrestabile ascesa al successo si fondono con le molecole e i nomines loquens dei profumi, narrando la controversa versione di sé del Genio, aggrovigliata al filo tagliente che separa il manifesto dal celato.
L’uomo etereo e laconico, quasi forzatamente dimesso, proietta ormai un’altra figura a terra: quella “eccedente”, che nasce dagli enigmatici profumi, dai barocchi declami da cui sono accompagnati, dalle sibilline triangolazioni di sfaccettature.
Serge Lutens è l’Innominabile della profumeria mondiale: il padre da cui l’artistica vede la sua ragion d’essere, venerato da orde di perfumisti e studiato nelle accademie della cosmesi, ma anche selvaggiamente copiato e crudelmente additato per qualsiasi passo falso. Ma egli aleggia, da sempre e per sempre, nel pallido vitreo candore della pelle e nell’abisso profondo del suo animo tormentato. Come un antico e inquietante Conte, che trae ispirazione da un mefistofelico ed efferato Principe.

L’Innommable: un profumo da principe… Del Male
profumo L’Innommable di Serge Lutens arriva a rinfoltire la Gratte-Ciel Collection nel 2018: un paletto, lanciato a guisa di sfida, nel petto da educanda della profumeria. Perché è una fragranza che non si definisce, o meglio, che si auto-afferma senza possibilità di chiamarla: lei ti chiama con il tuo nome. Una creazione con una lista di note ridotta all’osso – benzoino e cumino – così accattivante da attrarre pur nonostante l’ermeticità; un profilo olfattivo a cui non serve l’appiglio mendace di un nome apposto, ma che si esprime con una possenza carismatica fuori dal comune. L’Innommable è un’opera svettante su tutte le normali produzioni tanto quanto la bottiglia a grattacielo in cui è contenuta.
La sua texture densa, traboccante di sottintesi e articolata in nuance oltre le mode del tempo, propone fin da subito il DNA di un profumo adatto a personaggi di una certa caratura, smaccatamente oltre la media. Queste persone, i cui segreti urlano silenziosamente l’indicibile impeto che li governa, utilizzano l’arma olfattiva per affinare una armocromia esistenziale ambigua, che striscia nel cupo del nero, fluttua nell’ambiguità dei grigi, compie incursioni nell’inaspettato bianco, ma trova piena realizzazione nella scala truculenta dei rossi.
L’Innommable e la sua enigmatica struttura binaria – bipolare, è il caso di dire – è pericolosamente bonario e letale, d’un carminio bollente. Lutens ha plasmato un jus che cova larvato, in un cuore di fiamme sopite, intenti insondabili; come colui la cui fama sanguinaria ha cavalcato i secoli per giungere a noi: Vlad III Voivoda di Valacchia, il Dracul, irrisolvibile enigma di storia, folklore e letteratura.
L’innominabile antieroe della Cristianità
“A quanto ho letto, non v’è superstizione al mondo che non si annidi nel ferro di cavallo dei Carpazi,
quasi fosse il centro di una sorta di vortice dell’immaginazione.”
(Dracula, Bram Stocker, cap.I)
Siamo nel IV secolo; l’Europa è un intricatissimo territorio in cui religione e politica sono causa di guerre praticamente perenni. La cristianità è sotto scacco a causa dell’incalzante manovra di espansione dei turchi ottomani che premono sui confini sudorientali per avanzare verso nord. Teatro degli scontri più aspri è la Valacchia; all’epoca, quell’area, che oggi fa parte della Romania, era un principato indipendente confinante a Nord con la Transilvania e a Est con la Moldavia. I vicini scomodi erano però l’Ungheria a Ovest e i turchi a Sud, in quella che è l’attuale Bulgaria. Il piccolo principato era fra l’incudine dell’Imperatore Sigismondo d’Ungheria e il martello del sultano Murad II, acerrimo nemico del re ungherese.

È in questo calderone esplosivo che Vlad il “Tepes” (l’impalatore, in rumeno), nacque, nel 1431 a Sighisoara, città della Transilviania in cui era momentaneamente in esilio il padre; egli era il secondogenito di Vlad II il Dracul, della casa Draculesti, da cui deriva il patronimico Dracula. “Dracul” in origine significa drago: il padre di Vlad si era infatti unito all’Ordine del Drago istituito da Sigismondo nel 1387, con il compito di difendere gli interessi del Cattolicesimo contro gli infedeli.
L’insegna dei Draculesti era dunque un drago con la coda avvolta attorno al collo; sul dorso del drago è posta la Croce di San Giorgio. Il drago rappresentava la Bestia dell’Apocalisse e la croce rossa la vittoria di Cristo sulle forze del male: ecco perché, nel corso degli anni, Dracul passerà nel linguaggio comune come Diavolo, assimilazione forse ispirata anche dalla condotta efferata del Tepes.
Vlad III è una figura di profonda complessità: ciò che lo ha reso immortale ma innominabile è una vita spesa a difendere una giusta causa attraverso i metodi più sanguinari. Nemmeno i persecutori celebri – Erode, Nerone, Diocleziano, per citarne alcuni – furono causa di tante sofferenze e di dolori tanto grandi. Eppure, in Romania, egli è considerato un eroe pronto a immolarsi per la patria, un guerriero indomito e astuto. Infine, come non rivolgere il pensiero alla versione che di lui ci è pervenuta attraverso la trasfigurazione letteraria di Bram Stocker (1897)?
Dracula è per il mondo moderno il Conte vampiro, demone proteiforme, né vivo né morto, dannatamente appeso al limitare fra notte e giorno, condannato a una perenne sete di sangue. Dov’è la verità? Probabilmente nel confine smerigliato dell’ombra minacciosa del voivoda Vlad.
L’Innommable: pazzo assetato di sangue o condottiero pericolosamente seduttivo?
Statista scaltro e dissimulatore, Vlad salì al trono di una Valacchia sull’orlo del collasso: i membri dell’aristocrazia – i boiardi – lo osteggiavano per difendere i propri privilegi; il Paese versava in stentate condizioni economiche e strutturali, privo di una forza militare fedele a Vlad stesso; gli avversari premevano sui confini minando il suo trono traballante. Pertanto, fu una scelta obbligata quella di assumere misure politiche draconiane.
Da un lato il voivoda intraprese un preciso riassetto dell’apparato burocratico-amministrativo a cui aggiunse opere di ristrutturazione di fortificazioni, castelli e luoghi di mercato; dall’altro istituì una sezione di soldati addetti alla propria difesa. Questa parte del reggimento, l’Armas, venne istruita in particolare all’esecuzione materiale degli impalamenti e le condanne a morte, soprattutto condotte a discapito degli aristocratici che lo osteggiavano nella sua manovra di accentramento del potere.
Aggiungiamo a queste mosse anche l’ostentato appoggio alla chiesa ortodossa con donazioni e ricostruzione di monasteri in disuso: abile escamotage per tenere il clero sotto controllo e nelle proprie grazie. Il ritratto di Vlad come incomparabile reggente, colto, pragmatico e dirompente, si infrange però sull’evidente esaltazione del suo carattere, che raggiungeva un parossismo di violenza ed efferatezza inenarrabili.
Ancora oggi, è ricordato per l’ambiguità magnetica e pericolosa di cui è intriso il suo vissuto: ciò che ci piace dell’Innominabile Tepes è il punto impenetrabile in cui la leggenda si intreccia alla storiografia. Un tizzone incendiario che merita la firma sublime d’un capolavoro olfattivo.
L’Innommable di Lutens: sigillo olfattivo di ciò che va taciuto
“Da qualche parte, sbucando dall’ombra, mi è sembrato di veder apparire i lineamenti del malefico viso del Conte, il naso affilato, gli occhi iniettati di sangue, le labbra rosse, l’orribile pallore.”
(Dracula, B.Stocker)
Il vetro “nero su nero” delle bottiglie Gratte-Ciel accoglie e protegge le fragranze come una solida armatura. La smilza scultura vitrea che contiene L’Innommable, con il suo tappo stondato e zigrinato ai lati, assume contorni ancora più ambigui se la si rapporta con la vivace letteratura folkloristica riguardante Vlad il Dracul: il pensiero corre inevitabilmente al suo metodo d’uccisione preferito, l’impalatura. Ma le affinità non si limitano a questo.
La bordatura su cui si allinea il profumo L’Innommable di Serge Lutens è quella del contrasto tra il contenuto sostanziale – l’ambigua liason di benzoino e cumino, cioè una materia prima afrodisiaca, stimolante e resinosa ed una calmante, polverosa e dai sentori animali – e il sottotono ricolmo di pieghe e sfaccettature medicinali, dolci, fruttate e incensate. Una veste olfattiva che pare cucita su misura con la descrizione fisica del Tepes, come ci perviene nella biografia dello storico romeno Bogdan. In essa il voivoda valacco risulta “un uomo dai baffi lunghi, i capelli sciolti, modi di fare nebbiosamente intriganti, con sulle spalle un mantello sormontato da un broccato d’oro e da una pelliccia di zibellino che, raramente, si vedeva addosso a dei principi romeni.”

Fascino gotico ed eleganti dettagli concatenano i due Innominabili – profumo e principe – nella cifra della dissimulazione e di una machiavellica intelligenza. Il paletto acuminato di Monsieur Lutens si infiltra nelle narici con la forza acuminata di un brevissimo interludio agrumato, manovra diversiva prontamente spazzata via dal pugno speziato.
Un mazzo di chiodi di garofano si cosparge metallico per cadere polverizzandosi su un accenno di geranio; un episodio breve nell’evoluzione della fragranza ma che ricorda l’aneddoto degli ambasciatori turchi. Nel 1461 Maometto II inviò alcuni messaggeri alla corte di Vlad per esigere l’annuale tributo dovuto dalla Valacchia. Il Tepes uccise gli inviati rei di non essersi tolti il turbante in sua presenza; prima però fece inchiodare i copricapi al cranio delle vittime, poi li fece decapitare.
L’appuntita scalfittura dell’envol viene decollata da un episodio marcatamente medicinale: vagheggi di un altro famoso Lutens – la Tubereuse Criminelle – compaiono fugacemente, vergando di un rosso vivo e balsamico il petto glabro dell’incipit luminoso. L’intercapedine fra la scintilla incendiaria dell’entrata e il propagarsi sciropposo del benzoino è colmata da un cuscino di frutti scuri e maturi: principalmente prugne succose, albicocche e pesche essiccate, di cui l’affilato pugnale del frankincenso sfina l’eccedenza zuccherina. E, finalmente, ecco il protagonista: il benzoino, in tutta la sua gloria deliziosamente dark e speziata.
Nella variegata gamma di sfumature della resina del Siam, Lutens privilegia dapprima il sottotono “arrostito”, un ammasso di forze contrastanti, impeti e impulsi che si osteggiano come in campo di battaglia. E in un attimo, corre l’anno 1459; siamo a Targoviste, dove è situato il palazzo di Vlad. Il 25 marzo è una Pasqua di sangue: il principe sfoga la sua furia sui boiardi, rei di aver minacciato e tradito il potere del loro voivoda. Con la sua Armas mette a ferro e fuoco la città: 200 aristocratici vengono bruciati vivi, decapitati o impalati in un solo giorno. C’è una terribile veemenza che scorre nella media evoluzione dell’innominabile lutensiano; anche se il fuoco che brucia a tratti raggiunge sensazioni caramellate, perfino dai neri contorni di liquirizia, l’indole generale non scavalca mai la muraglia del gourmand.
La fragranza gioca astutamente, simula e dissimula bonarietà, ma poi mette piede sul palco del grandguignol. Il lato sciropposo e vanillico si intorbida lentamente in un mantello di muschio e ambra dagli echi fioriti: è il crepuscolo burgundi in cui la terra vergata da strie rossastre grida vendetta per le vittime. Il principe assetato di sangue siede a una tavola imbandita nel bel mezzo dell’assedio: questa è la sua macabra dimostrazione di rispetto per i morti. Attorniato da centinaia di pali, su cui non solo uomini, ma anche donne e infanti gemono dilaniati, il Dracul pasteggia con carne e vino, imperturbabile.

Dalla media evoluzione fino al drydown, il profumo L’Innommable di Serge Lutens si assesta su un tono rosso-violaceo (e non solo in senso figurato, perché il liquido ha veramente questo colore): l’alone muschiato si intensifica bordato dai sensuali richiami indolici del gelsomino. La nuance legnosa emerge invece sulla lunga distanza, dopo aver sorretto come un palo le viscere suggestive del cuore; nel tappeto di fondo si erge soprattutto un accomodante e lascivo sandalo, increspato dal ticchettio sommesso di lievi lacrime salate. Forse retaggio di un segreto dolore che stilla sofferenza.
La prodigiosa combinazione di mito, storia e angoscia dell’Innominato si propaga con una robusta proiezione che pulsa d’un timorato sillage, magnetico e cupo, ma inebriante. L’eccellente longevità, specialmente sui tessuti, funge da omega a una fragranza che ha le sembianze per comportamento e struttura simile a quella del drago posto sullo stemma dei Draculesti: favolosa creatura sputafuoco, ritorta su stessa, appesa al sottile limitare fra Bene e Male. I due Innominabili, quello francese e quello valacco, superstiti di un retaggio antico, seppur terribile, raggelano e scaldano le nostre anime unite nella maledizione più terribile di tutte: l’Immortalità.
“Le vittorie della mia stirpe sono ormai racconti da narrare. Io sono l’ultimo della mia specie”
Dracula, il film, Francis Ford Coppola
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