Pane Pro Capite. Ai confini del naso con O’driù
Se n’è rimasto zitto zitto per una dozzina di mesi, forse approfittando dell’impasse pandemica per imbrigliare le sue molte e bizzose idee. D’altronde, da sofferente di sinestesia quale si ritrova, la doppia pariglia di talenti che si ritrova a condurre è imponente: profumi, pittura, scrittura, design. E di sinestesia aveva infettato pure noi, stupendoci tra il 2018 e il 2019 con le sue A.narchiche O.lfartiste P.erformance, il caro fott***ssimo O’driù, alias Angelo Orazio Pregoni.
GIi eventi di fluxus olfattivo organizzati nell’hinterland milanese dal controverso compositore freak hanno scagliato folgori di perverso diletto non solo artistico, ma soprattutto intellettuale nell’orizzonte sbiadito della profumeria italiana. Virulenti di stroboscopia poliformica e polifonica, una volta rientrati dalle serate “ai confini del naso”, ci siamo immersi nella sperimentazione fantacologica della capsule BePolar con i suoi booster di personalità.
Sul comò, i testi sacri di riferimento: Acinesia – Poesie Disabili, Il Vangelo secondo Gay e Prima che il peggio accada. Perché Angelo Orazio Pregoni è eresia pura fattasi uomo: lui ti “sceglie” come discepolo, non viceversa. Forse anche per questo l’O’driù (il Druido) risulta ostico per il grande pubblico quanto indigesto agli addetti ai lavori; Pregoni è dotato di un sardonico carisma pari ad un ariete da sfondamento: se diventi suo accolito devi accettarne le conseguenze… Non sempre solo piacevoli.
È probabile infatti che risulterai inviso ai conformati, ai “carini” delle fiere e dei gruppi social, ma pure ai dandy e agli hindie se ammetterai candidamente di amare le sue creazioni. I commessi ti squadreranno come lo squinternato di turno alla richiesta di fragranze mitiche della linea druidica, come Eva Kant, Peety, Pathetique, Satyricon; gli espertologi praticheranno la loro pedante dietrologia sul profumo che il “didietro che rosica” celebra – Rodoass – senza capirne una (c)acca.
Non ti preoccupare. Da che mondo è mondo, chi ha l’invidiabile capacità di vedere al di là della nebbia della significanza per approdare a piè pari nell’a-significanza è additato a pazzo, eccentrico, cialtrone, imbonitore. Chi cuce connessioni liberandoci dall’insopportabile gravità del senso assegnato richiede consapevolezza per essere apprezzato. E la consapevolezza è il pane per i rari sdentati in un ammasso di dentiere sbiancate su Instagram.

Nel 2022 Angelo Orazio Pregoni rispolvera il marchio O’Driù e non è un semplice ritorno alle origini: perché O’Driù “is Olfactory Art”, cioè è voler condividere ben più che mere creazioni olfattive. L’autore di C21 indossa di nuovo le venerabili (o esecrabili, secondo i punti di vista) vesti del Druido per coinvolgerci in un’esperienza totalizzante che, sfruttando gli antri nasali, ci catapulti fuori dal seminato.
Ergendosi a corego di contemporanee Dionisie, Pregoni ci attrezza d’ogni strumento volatile e noi, assieme ai suoi alter ego e allo staff, diventiamo i protagonisti delle tragedie profumate del teatro odriuesque. Il terreno fertile da cui nasce la nuova meta-opera olfattiva è quello delle performance live di antropomorfismo olfattivo e della fatica letteraria “Prima che il peggio accada” (edita nel 2021 in tiratura limitata di 130 copie).
Il risultato è un magnetico quanto misterioso jus che si scompone in quaternaria visione. Seguendo magistralmente la tradizione aristotelica, la vena compositiva di Pregoni si suddivide in unità di luogo, tempo ed azione assecondando nei temi e nelle suggestioni i gesti e l’estro del fluxus. I quattro profumi sono “ambientati” a Milano, una città omaggiata e rievocata inglobandola in una sinergia notevole di tensioni espressive; non a caso il packaging – progettato con lo scultore e scenografo Marco Ventura – è “un link spazio-temporale, come una clessidra che percorre le linee del tempo” (cit.), frutto di influssi da polis underground.
Nelle splendide bottiglie, il caos di metalli si innerva sulla bakelite e deflagra nelle resine, attraversando il processo alchemico di foglie di rame, oro e bronzo posate a mano. I contenitori non sono accessori, ma veri e propri manufatti, sculture amplificatrici di senso, inscindibili dalla fruizione tout court del liquido.

Linea 42
C’è poesia nella metropolitana? Fra i sedili di plastica, i neon traslucidi, le frattaglie inanimate di visi spenti nel vuoto dei finestrini o ipnotizzati dagli schermi del ”telefonino”? Può germogliare arte dai sogni rinsecchiti come sporco rappreso di quell’umana entità multiforme che popola i vagoni del sottoterra urbano?
Dalla performance Please don’t touch me (2019) e dal dipinto di Pregoni realizzato con il dripping di essenze sul corpo di una modella nuda nel corso della serata, prende vita …42, omonima al tragitto della Linea 42 della metro milanese che viaggia tra il quartiere Bicocca e Stazione Centrale M2 M3. L’ eau de parfum nasce come un vagito gutturale dalla testa di O’driù, Zeus irascibile e imperscrutabile.
Al pari delle altre fragranze della capsule, …42 ha una concentrazione di profumo “superiore o uguale al 20%” e traccia nella profondità di insenature proibite la propria corsa. Il percorso del jus, dalle molteplici fermate, si contorce nelle pieghe di un erotismo così esibito da uscirne… spoglio. Liquido coraggioso nel suo celare più che svelare, …42 è strutturato sull’ellissi stilistica di avanguardia e antichità, dipanando il proprio fil rouge nella turbolenza d’una scarica di note ambrate e spinte fruttate. Laddove l’ammiccante succulenza di una pesca matura socchiude le labbra al glabro turgore dell’assenzio, un oud dimesso cerca odori campestri fra i funghi e le radici. La frivolezza dei fiori, in cui primeggiano le genuine forze di rosa e magnolia, deflagra a fine binario contorcendosi nell’ombra volubile di cacao e fava tonka. Un flash suburbano di martellante evoluzione e durata.

A l’ombra della Madonnina
La Madonnina della Guglia Maggiore del Duomo di Milano è anima e cuore della città. Brillando “de lontan tutta d’ora e piscinina” come cantava Giovanni D’Anzi, la statua realizzata da Giovanni Perego nel 1774 osserva e protegge dall’alto il capoluogo lombardo. Una tradizione, ormai diventata legge, prevedeva che nessun edificio potesse essere più alto della statua. Ma, fatta la legge, trovato l’inganno: il profumo di Pregoni, disperdendosi e confondendosi con le molecole dell’aere cittadino, si eleva ben oltre la caducità insita nel monumento. Celebrando la più santa e la più controversa delle donne, …Madonnina è accorato e sincero omaggio all’intero universo femminile. In uno stimolante gioco di scatole cinesi, dal dipinto omonimo prende vita il cortometraggio “Once a day give yourself a present” cui segue infine il profumo più sacro “e forse profano (o viceversa)” del Druido.
L’esecuzione è una rivisitazione di notevole raffinatezza di temi millenari. Il prologo è ovviamente affidato all’ incenso, mirabilmente resinoso e fresco, mantenuto con i piedi per terra dalle dolci briglie balsamiche dell’amyris. Una girandola di sentori agrumati, in cui brilla la lamina d’oro del bergamotto, si ritrova sulla stessa guglia di un esotico cocco. L’innata dolcezza materna è interpretata dall’impalpabile candore dello zucchero a velo, spolverato a pioggia come neve tardiva sui pallini gioiosi d’una primaverile mimosa. La teatralità del jus è accentuata infine dall’ombreggiatura mistica d’intervento maschile: sentori di tabacco definiscono in chiaroscuro l’incredibile storia di Maria, incrociandosi all’imperscrutabile disegno cipriato e legnoso d’un letto di muschi. Malizia, santità e un abbraccio nascosto dell’O’driù catturati da una clessidra che misura lacrime.

Mosca Cieca G.P.S.
Capitolo a sé stante della collezione, …G.P.S. è fragranza che sospira nell’intimità del suo creatore, narcotizzante e indecifrabile come un enigma per il pubblico. Prendendo le mosse dal romanzo “Prima che il peggio accada”, ne amplia e sublima la non-trama. Alla ricerca dell’Essenza di Sé una volta disvelta dall’infimo IO e dalle sue molteplici maschere, in …G.P.S. Pregoni indaga su Angelo mentre cerca Orazio in un rincorrersi di “Chi è chi, lui è un altro, tu chi sei?”.
L’unica certezza siamo noi, passeggeri di un’astronave asensoriale e discensionale che sonda l’abisso della Consapevolezza. Colossale oroboro di molecole, la fragranza inizia ex abrupto, con un bosco interrogativo di muschi; sulla setosa lungimiranza dell’ambra si rincorrono le domande più spietate e inespresse. Gli echi di selvatico castoreum trafilano il mix di legno, erba e cuoio tipici del cypriol, confondendo la spasmodica ricerca di chi si riflette nello specchio. Quando tutto sembra perduto – o, forse, ritrovato – un trionfo mistico di incensi, cardamomo e note che è auspicabile tenere segrete (s)piegano il Fato. A noi non resta che comprendere ciò che il profumo non dice. E indovinare chi è l’Angelo, fra Pregoni e Orazio.
“Qui voglio lavorare, perché qui la parola ’nonostante’ ha un significato simbolico presente e non più legato alle memorie del passato. Resto qui, nonostante…” (Pregoni riferendosi a Milano in un’intervista)
Pane Pro Capite
In …Capite – essenza distillata dal telo Pane Pro Capite, dipinto durante il live The Eaters and the Haters (novembre 2019) – torna la connessione con il capoluogo lombardo. Pur essendo genovese d’origine, Pregoni ha di fatto eletto Milano a tana, confortevole giaciglio in cui fare le fusa ai propri progetti insieme al fido Carlo Magno, il gatto con cui convive e che ha eletto suo padre confessore. La fragranza “futurista che ci parla di ieri” cita la Mensa di Guerra Piazza Diaz, Istituita nel 1944 per contrastare la condizione diffusa di fame dell’Italia in guerra e che distribuiva la razione di pane pro capite stabilita (di soli 150 grammi!). Nel dipinto di Pregoni una pagnotta è posta in grembo alla donna raffigurata, appena a un centimetro dalla vulva.
Ancora una volta, gettandoci nel naso un origami di stimoli culturali, Pregoni ottiene materia su cui spaziare e modellare un’opera spiazzante rispetto alle premesse contingenti. Approdiamo a una dissertazione su un elemento del quotidiano, il pane, qui deprivato delle croste più superficiali per arrivare a degustarne la simbologia. Lungi dall’essere semplice aggregato di farina e acqua, l’alimento più conosciuto al mondo si riappropria di tutta la sua valenza ontologica grazie a un profumo fragrante di mimesi e sfumature esoteriche.

La radice sanscrita “pa” significa “bere”, in chiaro riferimento al latte materno che è il nutrimento per antonomasia; pa-ne dunque è alimento considerato, alla luce di questa derivazione etimologica, altrettanto essenziale, nonostante la diversa consistenza organolettica. Perché il pane è cibo e segno: non sfama solo il corpo, ma anche lo spirito. Presente nella vita degli umani sin dal Neolitico, via via divenne pietanza prediletta di molte popolazioni pre-cristiane. Lo storico greco Ecateo di Mileto si riferisce agli Egiziani come ai “mangiatori di pane”: la civiltà più misterica dell’antichità fu anche la prima a farne massiccio uso ideandone la cottura dopo lievitazione.
Il prodotto dei campi si ritrova ad avere sempre due usi distinti: quello quotidiano e quello cerimoniale. Gli eventi festivi e di culto in cui panificazioni di varie forme vengono impiegate hanno connessioni con la sessualità, la fecondità umana e la fertilità della Terra. Come derivato del grano, la cui coltivazione ciclica ben si adatta ad essere metafora dell’alternanza fra Vita e Morte, il pane raffigura dunque il riscatto dalle proprie condizioni precarie grazie alla capacità di dominare la Natura. Ma, O’driù è predicatore che si spinge oltre questo ammasso di riferimenti facilmente assimilabili. ”Capite”, invero, è poi l’abbreviazione con cui viaggia questo profumo. Dunque, che cosa c’è da capire?
Spetta ai Vangeli il compito di veicolare ancora più in alto il profilo trascendentale del nutrimento “che si spezza”. Tralasciando l’eucarestia e il fenomeno della transustanziazione, il pane ricorre spesso nei discorsi del Nazareno ed è oggetto di un miracolo famoso come “la moltiplicazione dei pani e dei pesci“. Questo punto fondamentale dell’insegnamento di Cristo è riportato da tutti e quattro gli evangelisti; nella versione di Giovanni, si racconta come Gesù riuscì a sfamare una moltitudine con cinque pani d’orzo e due piccoli pesci forniti da un ragazzo. Quella che pare a tutti una favola cela una fra le più intricate lezioni di vita che siano mai state scritte.
Fondamentale è notare il tipo di pane: d’orzo. L’orzo era un grano considerato minore, basso: esattamente come i cinque sensi non purificati dal nutrimento spirituale; i pesci, raffigurati all’epoca da due linee arcuate che delineano la forma di un occhio, definiscono i due emisferi celebrali sinistro/destro, ossia la ghiandola pineale e ipofisarie che consentono alle due sfere celebrali di unirsi in un unico “occhio”: la consapevolezza. Gesù manda gli Apostoli a sfamare una folla con i cinque pani e i due pesci: indica alle parti più elevate di noi stessi di guarire le manchevolezze dei sensi per mondarli dalla bassezza della materia. Solo quando questi saranno pronti potranno agguantare con la coscienza i due pesci sfuggenti della Verità Pura di ciò che siamo: Pura Luce che si autoalimenta in eterno…
Dunque, Capite?
Il cerchio si chiude: riprendendo le dottrine del più anticonformista di tutti e di sempre – Gesù – Pregoni ci apre gli occhi attraverso il naso. Il pane prescelto è in razione pro capite, perché il percorso per giungere alla comprensione suprema è, prima che universale, un percorso per forza di cose individuale. Per non rischiare d’essere preso troppo sul serio, alla stregua dei veri maestri che molto ridono, ancora una volta l’artista sceglie lo stilema del dissacrante. Nel jus apparentemente semplice e scarno, i voli pindarici di interpretazione possono irradiarsi nel materico e nello spirituale, compiere tuffi nelle chiare e dolci acque della sensualità o nella sdrucciolevole viuzza dell’irriverente fino a un allettante pasto finale: quello nudo, della tua Verità.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada giù in Brera a farsi un aperitivo. Qui non abbiamo che cinque pani e due pesci!” Ma Pregoni disse loro: “Non lasciate che vadano. Andate e profumateli con Pane Pro Capite”.

Cimentarsi in una fragranza che riproduca fedelmente l’aroma che si sprigiona nello spezzare una pagnotta é qualcosa di perversamente folle. Da ogni dove si tentano accordi impensabili (e, che in alcuni casi, farebbero meglio a restare nell’Iperuranio delle Idee, ma questa è un’altra storia) che ricordano inchiostri, vernici, zanne di mammut, peli di yeti, fiori estinti e mai esistiti, aliti di comete. Pullulano aggregati fantasmagorici di materie prime ovviamente selezionatissime, frammiste a olii della Terra di Mezzo appositamente estratti da Umpa Lumpa del Borneo. Tutto, in profumeria oggi vuole essere più di tutto ma, non di meno, risulta poco nel parossismo di voler stupire ad ogni costo. …Capite è baciato dalla genuinità d’intento e benedetto da una struttura ponderata che discioglie in pacifica e armoniosa fruibilità la ricchezza calorica del tema.
Nell’eccezionale balzo d’inizio nessuno, nemmeno il naso da YouTuber, può esimersi dal riconoscere la sopraffina mimesi della nota calda e croccante d’un panetto appena uscito dal negozio del fornaio, quello che aveva la sua botteghina vicino al campanile, nel centro del paesello d’una volta. Al primo assaggio le narici sono travolte dall’odore fragrante di grano antico macinato a pietra, lasciato lievitare fino a raggiungere perfetta alveolatura e poi cotto in un vecchio forno a pietra.
La fermentazione ha conferito all’ impasto dei sottotoni dolci e fruttati: l’asciutta polpa d’una ciliegia ripiena d’estate e le fresche asperità aromatiche del mandarino poi mitigate dalla zuccherosa polpa di fico. A rimpinguare l’assoluta compostezza dell’accordo d’apertura è il delicato tratteggio floreale di violetta, gelsomino e garofano; la prima, leziosa ma elegante, rende mite il solitamente invasivo fiore notturno, ricoprendolo con la sua polverosa e muschiata terrosità. Il garofano, invece, dona un vezzo cromatico, un accento rosso speziato che trafila al bronzo le fette di pane, ora pronte per una sana merenda nei campi.
Dalla bottega di provincia ci spostiamo nella campagna: di lontano un trattore scoppiettante percorre avanti e indietro i vasti appezzamenti di terreno, raccogliendo le balle di fieno. E, di fatto, è di fieno greco che si scalda …Capite nel suo medio percorso su pelle; l’intensità acre della pianta ellenica sfuma in intreccio fumigante d’un biondo olibano. L’incenso esala un’aura di benessere sul quadretto rurale, muovendosi nelle narici come aria umida che si solleva dai campi a fine mietitura. Il suo cuore palpitante e resinoso s’aggancia al crepuscolo della fragranza. È la sera, quella stanca dei contadini; quella alacre di preparativi dei fornai; quella pensierosa degli uomini di buona volontà; la sera che chiude le tapparelle alle case, riunisce le famiglie attorno a una cena frugale…
La sera di un padre e una madre che si bevono un caffè zuccherato, imbevendoci qualche tozzo di pane secco. Chicchi tostati di caffè imbruniscono …Capite con ombreggiature tostate per un finish scricchiolante d’ambra e briciole. Fragranza esuberante e sonora nei primi battiti, si quieta dal medio drydown e lievita su polso, impastandosi alla pelle e mutando da pane bucellatus – biscottato – a pane siligineus flores: nobile e fumante.
Delizioso e di incredibile precisione in ogni sua angolatura, il pane liquido di Pregoni soddisfa l’animo con il suo nutrimento intangibile eppur così appagante. Che di fame spirituale o reale voi soffriate, spruzzatelo e condividetelo: perché il Regno dell’olfatto è degli uomini di buona voluttà.
Parola di O’Driù.
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