Patchouli (Lorenzo Villoresi) incontra Notturno Indiano (Antonio Tabucchi)
“Il viaggio più difficile di un essere umano è quello che lo conduce dentro sé stesso alla scoperta di chi veramente egli è.” (Carl Gustav Jung)
“Non c’è” dissi, “fra questi non c’è”
Se si pensa al misticismo o alla ricerca di sé e del senso delle cose, quasi inevitabilmente, si arriva a pensare all’India. Se si pensa ai vecchi antri bui o al periodo degli anni settanta, si pensa al patchouli, anche quando non se ne è coscienti… Sono classici riferimenti di una memoria collettiva che ha bisogno di definire e capire, per collocare la propria fragilità in un contenitore confortevole che chiuda fuori l’inquietudine.
Percorriamo strade e passi per tutta la nostra vita, da quando nasciamo fino all’ultimo respiro. Giorni e notti di fermento, alla ricerca di chi o cosa spesso sfugge alla nostra comprensione. E così i passi si moltiplicano e creano nuove strade. E succede che la tensione verso il fine si perde nella meraviglia della ricerca. Diventiamo fuggiaschi sensibili in preda al bisogno di scoprire, trovare, invano capire.
“Come si chiamava?”
“Si chiamava Xavier”, risposi. (…) “è un Portoghese che si è perduto in India.”
“In India si perde molta gente” disse, “è un paese fatto apposta per questo.”
Io dissi “già”. E poi lo guardai, e anche lui mi guardò con un’aria assente da preoccupazioni, come se fosse lì per caso e tutto fosse per caso, perché così dovesse essere.
Ci sono luoghi che chiedono solo di rinunciare a capire e l’India è uno di questi luoghi.
Le vie brulicano ancora nonostante l’ora tarda, soltanto i rumori sembrano attutiti, ma l’umidità indiana tossica e tenace rimanda i miasmi della città di mare, delle sue genti. Un occidentale dai tratti esausti cammina tra gli sguardi semi addormentati dei guidatori di risciò, un bagaglio piccolissimo tra le mani, la giacca stazzonata dal lungo viaggio. L’odore del mare denso si fonde con quello dei corpi che oltrepassa.
Anche lui cerca. Una persona, un amico che si è perso, come è facile perdersi in India. Si apre così Notturno Indiano di Antonio Tabucchi annunciando un’alba che sembra non giungere mai e dove la ricerca di una persona del passato diventa l’occasione per scendere dentro di sé e dentro il mondo attraverso spostamenti e incontri che avvengono solo all’imbrunire e nelle ore della notte quando l’umidità scende ed esalta gli odori e le sensazioni.
Se vi è mai capitato di camminare nella notte, saprete che l’umidità sa esaltare odori che di giorno si perdono nel movimento caotico. L’india della notte e degli odori è forse la rappresentazione più nitida dell’inutilità dell’atteggiamento occidentale a quelle latitudini. L’orribile si fonde con il sublime scardinando la logica e rimescolando la nostra capacità di comprensione.
Un paese che potrebbe dunque essere un profumo e che nel libro di Tabucchi viene sempre descritto nelle ore notturne, dove una umanità diversa si risveglia, dove il surreale si unisce al silenzio sussurrato del protagonista, teso in una ricerca che si rivelerà compiuta nella sua non conclusione.
Nell’edizione di Sellerio la copertina è blu profondo, come blu profondo è il flacone dalle linee nette di un profumo che sin dalla sua uscita nel 1996, entrò con naturale eleganza nel novero dei grandi classici della profumeria.
Patchouli di Lorenzo Villoresi potrebbe essere la straordinaria trasposizione olfattiva di Notturno Indiano, offrendo una lettura diversa di un paese che nelle nostre menti è così fortemente connotato.
Le note di apertura delineano i tratti di quest’uomo occidentale che cammina stancamente lungo le vie di Bombay. L’esperienza olfattiva si annuncia decisa sin dai primi attimi, quando colpisce un odore alcolico quasi di cognac che subito si smorza fondendosi con sentori erbacei che solo lontanamente ricordano la lavanda. L’occidente è davvero lontano e del fiore di lavanda, in quest’India addormentata, restano solo i tratti più secchi, quasi un lontano ricordo di fieno che annega immediatamente in odori cupi e terrosi. L’odore del protagonista è in trasformazione e la morbidezza impercettibile che spuntava a tratti nei primi momenti si è già sciolta negli umori pieni delle strade polverose, delle gomme surriscaldate dei taxi, delle onde lontane di un mare inquinato.
Ogni luogo ha il potere di trasformarti, così come ogni profumo ha il potere di raccontare una storia unica.
Le note di testa di Patchouli sono molto veloci nell’evoluzione, come veloci si spingono le prime pagine del libro. Note di testa e prima parte del libro di Tabucchi sono l’annuncio, l’identità poi tutto si dichiara in un perfetto evolversi verso il basso, che dimentica le alchimie sornione di accordi morbidi per riportare al tratto più autentico del patchouli, che percorrerà l’intera fragranza, così come la ricerca sarà il fil rouge di tutto il romanzo.
Sentori più definiti di legno si fanno strada e rimandano alla stanza in penombra di un piccolo albergo disperso nel dedalo delle vie di Bombay, lo scricchiolio del letto di legno, secco come gli effluvi che rimanda, tratti importanti di polvere, strati di vite che hanno sostato tra queste mura scolorite e che portando via brandelli di questa stanza, vi hanno lasciato tracce burrose della loro storia. Sono tracce ancora vive, carnose, quasi crudeli nella loro vivacità. Sono i tratti del patchouli in tutto il suo più intenso presentarsi.
Le note legnose che si fondono con quelle umide e più dense, che spingono verso l’alto un effluvio di polvere leggermente stantia, come una stanza con la finestra tenuta chiusa da lungo tempo. Uno scrigno che chiude il protagonista solo col suo segreto, con i ricordi che nella notte agitata si affastellano nel sogno e che impongono, con la tipica crudeltà indiana, un autodafè.
E’ un viaggio senza giorno, quello che ci attende, ma che sappiamo essere necessario e carico di un nuovo e diverso piacere. Gli incontri che, come tasselli di un puzzle, indicano la direzione, il sentire che occorre percorrere, sono le ombre medicinali del patchouli, solo appena canforate, ma potentemente benefiche nell’evoluzione della fragranza. Incontri diversi, il veggente orrendamente storpiato, il mercante jainista, il maestro teosofico, il medico cardiologo che voleva capire come un piccolo muscolo potesse reggere la vita, sono i diversi tratti del cuore della fragranza, dove il patchouli mostra tutte le sue mille sfaccettature in un assolo di straordinaria perfezione. Così il misticismo quasi incensato si fonde con la terrosità umida e sporca, per poi fluire in aeree evoluzioni erbacee che riportano ad un verde denso di solida intensità e ancora scendere in un sentore quasi indistinto cupo e freddo.
“Che cosa facciamo dentro questi corpi”
(…)
“Forse ci viaggiamo dentro”
E’ un viaggio lungo, dall’evoluzione che si compie a piccoli passi, il protagonista ha percorso chilometri e chilometri e forse l’oggetto della sua ricerca si è spostato, forse lui stesso non è più quello di prima e impercettibilmente si lascia scivolare nelle mani calde di una terra antica che ancora sussurra come una nenia l’invito a smettere di capire, a smettere di cercare chi non vuol farsi trovare. L’ostinazione è ormai molto debole e il patchouli, che finora ha dipinto i tratti dei mille volti incontrati, si fa appena morbido, forse di nuovo mistico, grazie all’incontro con il sandalo e a note di musk e benzoino.
Siamo alle ultime pagine di Notturno Indiano e il senso del rinunciare a capire si sta compiendo, una calma serafica avvolge le parole e gli odori si fanno leggermente affumicati, solo appena asciugati da vetiver e legno di cedro. I sentori legnosi tipici del patchouli si sentono ancora, ma sono meno duri, meno alcolici e meno carichi di polvere e muffe. Il lato mancante di questa nota mastodontica è stato finalmente svelato e ci adagia su un letto dal sillage così breve, seppur di lunghissima durata, che ci impone una vicinanza sensuale alla pelle.
“Les corps humain pourrait bien n’etre qu’une apparence. Il cache notre réalité, il s’épaissit sur notre lumière ou sur notre ombre” (Victor Hugo, Les Travailleurs de la Mer)
Le parole scivolano inesorabili come gli ultimi effluvi di questo capolavoro di Lorenzo Villoresi, ancora ancorati sulla nostra pelle, quasi questa eau de toilette fosse una eau de parfum. Questa ricerca ci ha cambiati e non ce ne siamo nemmeno accorti, è come un risveglio che ridefinisce il nostro personale concetto di classico. Potremo davvero dire che l’India, così come il patchouli è ancora quella che pensavamo prima?
Ma forse la strada è proprio quella di lasciarsi andare, rinunciando a capire.
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Un profumo straordinario che esprime pienamente le incredibili qualità compositive del suo autore. Mentre il tempo passa e ogni anno nuovi brand spuntano come funghi Villoresi rimane insuperabile, il più grande!
Complimenti alla penna che ha scritto questo pezzo: è intenso, profondo, ricco di immagini… come la fragranza che racconta. Complimenti!
Ciao Anna,
è un’emozione leggerti ogni volta.
Grazie
Creazioni come quelle di Villoresi dovrebbero essere proposti con olfazioni obbligatorie a chi si avvicina per la prima volta alla profumeria di nicchia, è l’unico modo affinché la gente possa imparare a distinguere un grande profumo dalle schifezze che ci sono in giro, per giunta a prezzi assurdi!
Semplicemente Maestoso!
Il patchouli creato dal maestro Lorenzo Villoresi ti avvolge, ti cattura, ti possiede e ti trasporta in un mondo variegato e ricco di profonda umanità che è diventato quasi estraneo alla civiltà occidentale .
Mettevo ogni giorno dal 1968 quel meraviglioso olio di patchouli… anche quella mattina che venni sequestrato dalla Banda della Magliana. Dopo due mesi ,quando venni rilasciato, mia moglie mi riconobbe sotto un manto di cappelli ed una barba lunga.per quell’aroma che non eraai sparito ma che anzi si era fortificato per i miei ferormoni che erano stati secreti dal mio corpo alla vista di Marina.
Villoresi oggi mi accompagna.sempre….