Magnifica vaniglia: le fragranze vintage dell’oro nero della profumeria
Una torta soffice o una tenera crème caramel: chiedete a chiunque e di getto saranno queste le rassicuranti associazioni d’idee alla vaniglia, ma la sua innocente tentazione fin dal suo arrivo nel nuovo mondo è stata sinonimo di sensualità. Se gli aztechi la chiamavano tlilxochitl (fiore nero) per i suoi frutti, ai colonizzatori guidati da Hernán Cortés rimasti a lungo lontano dal gentil sesso, bastò uno sguardo a questa orchidea messicana per esclamare “vainilla!” (dal latino vagina) che in spagnolo significa “contenitore” ad indicare i lunghi baccelli, ma anche il sesso femminile per la forma del labello del fiore.

Stregati dal suo aroma intenso, da allora cuochi e profumieri hanno impiegato questa bacca in vivande e filtri afrodisiaci facendone la spezia più costosa assieme allo zafferano. Alla seduzione della vaniglia non restano insensibili nemmeno i chimici e dopo molte ricerche, nel 1876 il tedesco Karl Reimer riesce a sintetizzare in laboratorio la vanillina, l’aldeide aromatica responsabile della dolcezza talcata e floreale della vaniglia.
Sin da metà ottocento, la scoperta delle prime molecole di sintesi ha spianato la strada alle infinite possibilità della profumeria contemporanea: rinomate case essenziere come i laboratori De Laire e Chiris mettevano a disposizione dei profumieri molecole e basi innovative (miscele di materie prime naturali e di sintesi già nel XIX secolo!) come l’Ambreine Samuelson (1903) dall’ipnotica scia vanigliata.

Il primo ad osare la nuova vaniglia tecnologica unendola all’infusione di vaniglia Bourbon fu Aimé Guerlain sposando in un fougère orientale la freschezza violacea della lavanda provenzale ad una nuvola dorata, la celebre Guerlinade dai sentori di vaniglia, resine piccanti e tabacco dolce. Ecco Jicky, l’età d’oro della profumeria poteva iniziare.
Agli albori del XX secolo Francesco Giuseppe Spoturno, un giovane farmacista corso che si dilettava di profumeria, fiuta l’importanza della tecnologia e del marketing per fare fortuna. Così si trasferisce a Parigi, si fa chiamare François Coty e dedicherà una delle sue prime creazioni proprio alla vaniglia. In Ambre Antique non solo sperimenta la vanillina, ma le nuove estrazioni di vaniglia del Messico dalle note più legnose e medicinali, quasi animali. Unito ad un bouquet di balsami e resine, questo profumo opulento gli suggerirà la toilette delle antiche matrone romane ricca di unguenti dall’Oriente. Racchiuso in uno ieratico unguentario in cristallo Lalique, Ambre Antique diventerà l’archetipo delle fragranze orientali di cui la vaniglia emerge in tutte le sue sfaccettature.

Chi però farà dell’oriente un vero e proprio lifestyle da capogiro è il sarto Paul Poiret, detto il Magnifico per le sue feste da Mille e una notte ed i suoi lussi sfrenati. Mentre l’Europa imbraccia le armi della prima guerra mondiale, le sue donne-odalisca liberate dai corsetti incedono in eleganti cappe-kimono, pantaloni alla turca e turbanti di seta cangiante con piume e monili vistosi. Il loro profumo? Le Fruit Defendu di Parfums de Rosine, tentazione da mordere creata da Henri Alméras intingendo un tripudio di vaniglia e benzoino in un voluttuoso liquore alla pesca.

Gli anni folli danzano a ritmo di shimmy e, fra una sigaretta ed uno champagne, la pericolosa garçonne col capello “alla maschietto” segna la sua fumosa ascesa sociale con un mix di vaniglia e legni maschili: chez Molinard è il vetiver graffiante di Habanita, mentre da Caron il sandalo più latteo si fonde all’incenso nell’evocativo Nuit de Noël.
Perfino l’ambiziosa Coco Chanel si lascerà coccolare dalla vaniglia che Ernest Beaux cela nella scia del mitico No.5, “un profumo che odora di donna” dove un tocco materno non poteva mancare. Nel 1924 Monsieur Beaux sperimenta nuovamente con aldeidi, sandalo e vaniglia nell’esotico Bois des Îles, la più orientale delle sue creazioni, anche se parlando di Jacques Guerlain e del suo Shalimar ammetterà: “Se avessi utilizzato così tanta vaniglia, sarei stato capace di fare solo un sorbetto o una crema inglese, invece lui ne ha fatto un capolavoro”.

Con un’overdose di vaniglia, ancora oggi Shalimar è il Taj Mahal della profumeria, tempio dell’amore e pietra di paragone per tutti gli orientali. Possiamo ritrovare il suo DNA inconfondibile fra gli accenti verdi e fruttati di Must di Cartier (Jean-Jacques Diener, 1981) ed Obsession di Calvin Klein (Jean Guichard, 1985) o ancora sotto a un velo di petali bianchi in Roma di Laura Biagiotti.
Se Jicky e Shalimar hanno tracciato la firma olfattiva della Maison Guerlain, il vero gioiello di famiglia nascosto è Cachet Jaune, il profumo che Jacques creerà nel 1937 per sua nuora Nelly, la madre di Jean-Paul. Come tradizione al 68 di Avenue des Champs-Élysées, la vaniglia scrive una storia d’amore e Cachet Jaune, sigillo giallo, allude alla tenera abitudine del figlio di Jacques, Jean-Jacques Guerlain di chiudere le lettere d’amore per Nelly con un sigillo in ceralacca gialla. Immaginate una tarte au citron ancora tiepida che inebria di burro, zucchero e vaniglia, servita su una coulisse al gelsomino e guarnita di cannella e aghi di rosmarino: una delizia da acquolina in bocca che solo un abbraccio materno può eguagliare.

Se le femme fatale vaniglia-dipendenti hanno sempre avuto ampia scelta su come profumarsi, i gentleman devono ringraziare Ernest Daltroff per aver creato Pour un Homme de Caron. Certo il binomio lavanda-vaniglia non era una novità nel 1934, ma se pochi erano così eccentrici da indossare la sinuosità liberty di Jicky e Mouchoir de Monsieur, in molti hanno amato Pour un Homme. L’eleganza sobria ed contemporanea pari a un’architettura di Le Corbusier l’hanno fatto giungere in ottima forma fino a noi come uno standard olfattivo maschile. I Don Giovanni invece dovranno attendere ancora un trentennio per avere la loro arma di seduzione di massa che prende il nome da un’allusiva giacca rossa da caccia. Habit Rouge, capolavoro di Jean Paul Guerlain unisce l’air de famille della vanigliatissima Guerlinade ad un cuoio di Russia da vero mascalzone che gioca a confondere i sensi delle sue prede amorose.
Parlando di vaniglia e cattivi ragazzi, impossibile non ricordarsi di una parata di femmine sedotte e abbandonate che si sporgevano dalle balaustre dell’Hotel Carlton di Cannes al grido: “Mostrati miserabile! Égoïste!”. Unica risposta era il gesto risoluto di un braccio maschile a mostrare un flacone massiccio di Égoïste, creazione di Jacques Polge ispirata a Bois des Îles in cui trionfa una vaniglia Bourbon quasi medicinale, smussata dal sontuoso sandalo di Mysore: macho anni ’80 sì, ma dall’animo romantico.

Il merito di porre la vaniglia in primo piano, rivoluzionando così l’approccio creativo e stimolando la sensibilità del consumatore, va però alla profumeria artistica. Nel 1978 L’Artisan Parfumeur lancia Vanilia che ci restituisce un’idea della vaniglia ancora oggi spiazzante. Floreale, fruttato e quasi liquoroso, Maurice Maurin ci porta con questo jus nelle esotiche isole Comore e di Réunion, dove le coltivazioni di ylang ylang e vaniglia si affiancano in una distesa continua di fiori dorati nel sole.
Mentre la profumeria commerciale di fine anni ’70 puntava sempre più sulla pubblicità e sui diktat del marketing, il calore unico di questa fragranza baciata dal sole ci ricorda come alcuni profumieri follemente innamorati del loro mestiere abbiano dato vita ai primi marchi “confidenziali” rivendicandone la libertà creativa e l’amore per le materie prime più preziose che ancora oggi troviamo in tante vaniglie d’autore.
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Che bello questo articolo, adoro la vaniglia e ripercorrere la sua storia nella profumeria è stato veramente interessante