Lonestar Memories ~ Andy Tauer (Perfume Review)
Parlo spesso di musica quando scrivo di profumi, si tratta di due grandi passioni della mia vita e non ne faccio mistero, e poi credo che tra queste due forme di “quasi” arte ci siano molti punti di contatto, diverse affinità elettive.
Ad esempio entrambe condividono il magico potere di evocare sensazioni e ricordi, di creare nella mente di chi ascolta, o di chi annusa, dei veri e propri scenari, sequenze che si delineano a volte in maniera nitida e dettagliata, altre in modo più sfumato e indistinto, come ricordi un po’ sbiaditi dallo scorrere del tempo. Inoltre tanto le note di un brano quanto quelle più volatili di una fragranza hanno la capacità di riempire l’ambiente in cui si diffondono, in una sorta di arredamento, vuoi sonoro vuoi olfattivo, che lo renda più bello e personale, o magari più vicino all’umore del momento.
Tra le tante forme di espressione musicale ce n’è una in particolare che meglio si presta a questa funzione, che anzi nasce proprio a questo scopo ed è la cosiddetta musica Ambient, teorizzata alla fine degli anni ’70 dal geniale musicista inglese Brian Eno ma che in realtà ha radici ben più lontane e trae ispirazione dalle opere di inizio ‘900 di autori come Satie e Debussy. Fu proprio Brian Eno a coniare il termine Ambient per descrivere dei lavori pensati per “vestire” luoghi ben precisi (celebre e più volte reinterpretata la “Ambient 1 – Music for Airports“).
Trattandosi di un genere ormai ultratrentennale, l’Ambient nel tempo è evoluta in una miriade di sottogeneri anche molto distanti dal concetto originario (come ad esempio la cosiddetta lounge music e perfino la techno degli anni ’90) e tra questi ve n’è uno in particolare che intende evocare i grandi spazi aperti dei deserti americani. Talvolta chiamata Western Ambient, vede nel musicista e compositore californiano Steve Roach il suo primo e più importante promotore, con opere che hanno davvero la capacità di catapultare l’ascoltatore nel bel mezzo di un deserto texano, tra visioni di cactus, tramonti rosso fuoco e lucertole che cercano cibo e acqua, senza cadere nel cliché scontato del genere Country.
Una ispirazione molto vicina a quella dichiarata da Andy Tauer (biologo molecolare con tanto di PhD convertito a profumiere nel 2005 e di base in Svizzera) per Lonestar Memories, la fragranza numero 03 del suo ricco catalogo, con cui nel 2006 ha voluto rendere omaggio all’immaginario americano del cowboy solitario in jeans e giubbotto di pelle che cavalca il giorno intero in un paesaggio secco e desertico per concedersi finalmente un meritato riposo serale bevendo un caffè davanti al fuoco crepitante di un falò.
Per evocare questa suggestione probabilmente scaturita dalle memorie di un suo soggiorno di studio in Texas, Tauer ha creato un jus basato su un accordo dominante di catrame di betulla, resine aromatiche e note cuoiate, distribuite lungo una piramide olfattiva complessa che parte con una testa dall’apertura acre di gomma bruciata, probabilmente frutto della combinazione del catrame di betulla (dichiarato nel cuore) con note decise di salvia sclarea e geranio verde. In testa è presente anche un accenno di semi di carota, che servono ad aggiungere un cotè legnoso e leggeri accenti terrosi. E’ un incipit deciso, inadatto ai pavidi e agli amanti delle fragranze beneducate, che ricorda l’attacco quasi selvaggio e spiazzante della straordinaria Hamdani di Parfums de Marly (qui però meno violento e più facile da apprezzare) per la fase più originale, e a parere di chi scrive più bella, della fragranza. Un solo personale appunto al fatto che tutto questo odore di catrame e gomma, più che a cavalli e cavalieri fa pensare, sullo stesso sfondo desertico e brullo, alle gare di accelerazione della beat generation americana dei film di James Dean e ai racconti on the road di Jack Kerouac.
Dopo una mezz’ora la componente catramosa dell’apertura sfuma in favore di una più familiare nota cuoiata, dentro un cuore reso fumoso dall’apparizione delle prime resine aromatiche con il cisto e ingentilito da una punta, inaspettata, di gelsomino a spostare paradossalmente il tono del jus su un piano meno prettamente mascolino proprio mentre il focus si fa più nitido sulla figura ispiratrice del cowboy solitario. Questa lunga fase di cuore non ha l’impatto sorprendente dell’apertura ma ci sembra più equilibrata e di sicuro molto più facile, riuscendo comunque ad essere originale ed evocativa, in un modo certamente più immediato col risultato che ci si ritrova continuamente col naso attaccato al polso a sniffarre ipnotizzati e contenti.
Quando poi dopo oltre sei ore Lonestar Memories scivola nella conclusiva fase di coda, il tono fumoso e cuoiato del jus va a spegnersi in un caldo abbraccio di sandalo, mirra e fava tonka, asciugato dalla presenza di un vetiver secco. Il cowboy si dilegua e resta sulla pelle una fragranza elegante e sofisticata, per una conclusione che si allontana molto dal concept originario, forse al momento giusto per non renderlo monotono e stancante, così da mantenere sempre alto fino alla fine l’interesse per una evoluzione che, questa sì, ricorda la lunga cavalcata solitaria del ranger nel deserto e che termina facile facile per concedergli il riposo che si è pienamente meritato.
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E’ il tauer preferito di mio marito. Per me è un po’ pesantuccio, quando lo mette prima arriva il profumo e dopo un quarto d’ora lui ma gli piace tanto, in compenso sopporta il mio Carnal Flower quindi non posso lamentarmi!
Tostp all’inizio poi diventa amabile, ben costruito, ottima proiezione e tenuta superiore rispetto alla media, io lo indosso spesso.
Talmente ben scritta che mi immagino con il polso sul naso per sei ore, immaginando deserti e cavalli. Questo profumo mi piace tantissimo.