Les Zazous di Keiko Mecheri incontra Il tè nel deserto di Paul Bowles
C’è un richiamo profondo dentro di noi che ci spinge al viaggio, a cercare sempre nuovi posti, nuovi tratti del volto. Crediamo di cercare lo stupore dell’esotismo, ma in realtà cerchiamo solo noi stessi.
L’uomo è per sua natura mutamento e movimento e, se facciamo uno sforzo di sintesi, sapremo che tutta la vita non è altro che un viaggio alla ricerca della nostra felicità autentica. “Non si considerava un turista, bensì un viaggiatore. E in parte la differenza sta nel tempo, spiegava. Laddove, in capo a qualche settimana o mese, il turista si affretta a far ritorno a casa, il viaggiatore, che dal canto suo non appartiene né a un luogo né all’altro, si sposta più lentamente, per periodi di anni, da un punto all’altro della terra.”
La prima cosa che colpisce, arrivando in un paese del Nord Africa, è il richiamo alla preghiera dei muezzin. Quel canto acuto che si eleva e pervade le strade, sospendendo la vita in uno spazio rarefatto. Poi la polvere, sottile e rossiccia che ricopre ogni cosa, il deserto che sembra voler divorare tutto con la sua calma millenaria. Dei profumi ci si accorge dopo, dopo i rumori e le voci, dopo i miasmi, forse, ma in ogni caso dopo. Ti si insinuano dentro silenziosamente per poi rivelarsi all’olfatto.
Odori forti di carni arrostite, odori pieni e pungenti di spezie ammonticchiate in piramidi colorate che sfidano la forza di gravità. Odori asciutti di erbe essiccate al sole cocente e di terra battuta da migliaia di passi. Perdersi nei cunicoli ombrosi alla ricerca di refrigerio, in un fiume di persone e ritrovarsi poi, completamente disorientati di fronte all’ingresso di un piccolo hammam, da dove arriva il vociare degli astanti all’interno e un vago odore umido di fiori e sapone nero. Difficile non restare affascinati da tutto questo. Difficile non perdersi.
Uno scenario rimasto pressoché immutato negli anni, lo stesso che accolse lo scrittore Paul Bowles, molti dei suoi personaggi e noi, oggi come ieri.
C’è un senso di estrema vitalità in tutto questo, che attira e intimorisce ma che non lascia mai indifferenti. E’ un tempo sospeso, quello che troviamo ne Il tè nel deserto, il libro più famoso e riuscito di Bowles, ripreso poi da Bernardo Bertolucci nell’omonimo film, e che ci cattura portandoci in un viaggio nelle profondità dell’animo umano attraverso ogni piccolo granello di sabbia. E’ la storia di tre giovani americani, Kit, Port e Tunner che decidono di fare un viaggio in Nord Africa, negli anni ’40, fuggendo dalle brutture lasciate dalla guerra e allontanandosi il più possibile dalla civiltà americana.
Il potere evocativo della narrativa di Bowles, che a Tangeri decise di fermarsi a vivere, esplode nella storia dei tre giovani e ci risucchia in un viaggio affascinante, ma che trasfigura sempre di più avanzando nella lettura. E così scopriamo, come succede quando un viaggio è reale e non un semplice spostamento, che addentrarsi nel cuore profondo dei villaggi, che si fanno sempre più piccoli e crudi, avvicinarsi all’immensità del deserto, altro non è che spogliarsi sempre più delle nostre vestigia sociali per entrare, quasi con timore, ma con avidità insaziabile, nel nostro animo profondo. Per guardare noi, i rapporti che ci sono cari, la nostra intera vita.
In effetti, prima o poi bisogna fare i conti con noi stessi e chiederci quanto ci siamo amati.
La risposta è sempre lì, eppure tutto ci sfugge e diviene illeggibile. Ci vuole, dunque, molta presenza di spirito per essere fedeli a sé stessi ed esserne felici; perché significa autorizzarsi a farlo, permettersi di guardarsi dentro e di vedere realmente ciò che c’è. Ed essere coerenti senza il timore del giudizio, fino in fondo, come una sete che non si placa mai.
Il romanzo è dunque tutto questo, tutta questa meravigliosa e a tratti dolorosa ma sempre intensa ricerca, alla quale i tre giovani protagonisti non si nascondono, ma vi si offrono, con l’eleganza della bellezza come stato dell’essere. Essere uno zazou negli anni ’40 significava essere un eccentrico esteta, di raffinata eleganza, sospeso tra gli orrori delle macerie e la chiara luminosità della ricostruzione.
“A un tavolino nell’angolo più buio sedevano tre americani: due giovani e una ragazza. Conversavano tranquillamente, col fare di chi ha davanti a sé tutto il tempo del mondo, per qualsiasi cosa.”
Giovani, di bell’aspetto, eleganti, col fare scanzonato e imprevedibile di chi non ha da badare che a sé stesso. C’è stato un tempo dove la ricerca di una finezza del vivere era cosa naturale per uomini e donne. Kit, Port e Tunner erano zazous, giovani lontani dai cliché, dediti al piacere della vita, ai viaggi, ricchi e di grande cultura. Paul Bowles fu uno di questi e di molti fu il mito. Non aveva paura di ciò che era, di dover convivere con le sue numerose, apparenti, contraddizioni, accettandole come uno dei molti riflessi della complessità umana.
“Gli odori nell’aria divenivano sempre più forti. (…) Un vento caldo e asciutto, che veniva su per la strada, proveniente dalle tenebre dinanzi a lui, lo investì in pieno. Fiutò i frammenti di mistero che conteneva, e di nuovo provò un’euforia insolita.”
E’ un giovane uomo, l’abito in lino chiaro tracciato di polvere e lievemente stropicciato, lo sguardo acuto, quasi febbrile perso nell’abisso color pece. Solo il vento gli fa indovinare la presenza dell’immenso deserto davanti a sé. E’ un vento carico di odori, gli odori del viaggio e di ciò che siamo. E’ Paul Bowles, sospeso nella sua vita marocchina , ed è Port, ma forse siamo anche noi.
Com’è importante fermarsi e riportare alla mente quando anche noi ci siamo trovati di fronte al nostro personale deserto. Tutto ci sfugge, quando perdiamo il nostro tempo nella distrazione. Ma proviamo a ricordare quando ci siamo sentiti realmente noi stessi, ecco, quell’attimo è forse il più importante di tutta la nostra vita. E’ su quel momento, su quella bellezza che dovremmo legare la nostra vita. Essere zazous è questo, vissuto con eleganza.
Keiko Mecheri, lei stessa molto legata al senso del viaggio, voleva rendere omaggio a tutto questo e nel 2010 è riuscita a catturare il fascino elegante e spavaldo dei giovani zazous sposandolo con quello misterioso e antico del deserto per donarci una splendida creazione che completa la serie Les Orientales. Nasce così Les Zazous, ricca composizione in eau de parfum che si apre con note fiorite che dichiarano immediatamente un biglietto da visita inconsueto: una lavanda, declinata in modo così insolito da perdere le sue note più scontate per un sentore più asciutto e quasi polveroso, che si fonde con la rosa, simbolo dei giardini marocchini, che ci introduce in un’idea ben definita, quella dell’elegante fascino di un giovane zazou negli imprevedibili anni ’40, e che qui si presenta quasi sussurrata, quasi non avesse bisogno di dichiararsi in tutta la sua maestosità per far notare la sua presenza.
E’ la ricerca della bellezza sussurrata dei petali di fiori, come fossero lievi trame di lino sui corpi accaldati, odorosi di note legnose di sandalo e vetiver: sono i corpi scaldati dal sole, abituati a ricevere cure costanti che indulgono al piacere come amore per se stessi.
E’ una piramide che si svela a poco a poco, quella di Les Zazous, e che ci riporta agli anni vitali e un po’ folli dei grandi viaggiatori dei primi decenni del novecento. L’apertura imponente si tempera, poi, con note di iris ed ambra grigia che rendono la composizione più talcata, smussandone i sentori quasi animalici. E’ un’iris sofisticata e che trova nel sodalizio con l’ambra grigia il perfetto equilibrio di eleganza e persistenza.
Les Zazuos prosegue il suo viaggio orientale, portando chi lo indossa verso le note profonde del balsamo del Perù che si sposa con note cuoiate e che richiama ad una ricerca del lusso come stato naturale. Sul fondo, note calde di tabacco biondo di ottima qualità si lasciano gustare con calma, in un tempo dilatato e scaldato da un fondo di miele, incenso e vaniglia che evolvono in effluvi morbidi e avvolgenti, abbandonando le note acute dell’apertura, per lasciarci in compagnia di un profumo discreto, ma dalla presenza ineccepibile. Il drydown, infatti, molto diverso dalle note iniziali, permette di sentirci avvolti dal profumo per molte ore, in un abbraccio sensuale che ci fa sentire più sicuri, più affascinanti.
Les Zazous è un viaggio in Oriente, con tutte le sue luci e le sue ombre. L’apertura forte e decisa, appena smussata dai fiori e la sua evoluzione più calda e avvolgente richiamano perfettamente un viaggio in terre lontane dove allo spaesamento iniziale si sostituisce lentamente una fascinazione che presto diventa amore e legame. Il quadro olfattivo che si dispiega sulla pelle è complesso, sfaccettato, decisamente ricco e avvolgente. E’ un abito di eccentrica fattura, che può essere indossato sia da un uomo che da una donna e che si sviluppa in modi sorprendenti fondendosi con chi lo indossa per dare vita ad una creazione sempre unica, come un vestito tagliato su misura, e che sempre sa accompagnare con un sillage non immediato, ma che invita ad affinare i sensi per prepararsi ad una esperienza olfattiva dal vago sapore vintage. Non è una creazione da indossare distratti.
Keiko Mecheri invita ad una scelta precisa, senza mezzi termini, senza timori.
E’ l’invito ad immergersi nella vita, in ogni suo attimo con avidità un po’ folle, ad attraversare ogni emozione vitale come fosse l’ultima volta, con l’intensità affamata del cuore. Con spirito attento e curioso. “L’errore che lei commette è d’avere paura. Quello è il grande sbaglio. I segni ci vengono dati per il nostro bene, non a nostro danno. Ma, avendo paura, lei si confonde nel leggerli, e fa cose sbagliate quando avrebbe dovuto farne di giuste.”
Senza paura, ritrovare lo zazou che è in noi, con la spavalderia della bellezza, con la sincerità di ciò che siamo, camminare, o ricominciare, a testa alta coscienti della nostra meravigliosa unicità! Bowles fu esempio riuscito di coerenza e di fusione: coerenza con sé stessi e fusione di due culture lontane tra loro, ma che ne hanno fatto un uomo di rara profondità d’animo. Se fosse stato ancora in vita Bowles avrebbe potuto di certo indossare Les Zazous di Keiko Mecheri.
E Keiko ha saputo tradurre in note olfattive l’invito di Paul, facendone un concerto odoroso vitale, misterioso, pieno di elegante intensità; perché “poiché non sappiamo, finiamo per pensare alla vita come a un pozzo inesauribile. Eppure ogni cosa accade soltanto un certo numero di volte, e un ben piccolo numero, in effetti. Quante altre volte ricorderai un certo pomeriggio della tua infanzia, qualche pomeriggio che sia così profondamente parte del tuo essere per cui tu non possa nemmeno concepire la tua vita senza quelle ore? Forse altre quattro o cinque volte. Forse nemmeno. Quante altre volte guarderai sorgere la luna piena? Forse venti. E tuttavia tutto sembra senza limiti.”
E sopra ogni cosa, il viaggio. Qualunque esso sia, per voi.
Ryuichi Sakamoto esegue “The Sheltering Sky”, tema portante della colonna sonora de “Il tè nel deserto” di Bernardo Bertolucci
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E non c’è niente da fare: ogni volta che Keiko va in Marocco, io mi innamoro… loukhoum, tangeri, mogador sprigionano una luce particolare che le altre fragranze Mecheri non hanno, forse perchè sono riscaldate dal sole dell’Africa… E adesso voglio sentire il suo zazous, non lo conosco ma da come l’avete descritto so già che sarà il mio prossimo amore. Grazie
Colonna olfattiva e musicale meravigliose per un libro struggente che continuo a tenere nel cuore a distanza di anni.
Brava Anna!! Basta parlare sempre dei soliti noti, sembra che KM abbia fatto solo Loukoum, invece ci sono delle perle come Zazous che meritano uguale successo, purtroppo sono gli stessi profumieri che spingono i titoli più venduti per paura di non battere lo scontrino. Io propongo una rubrica solo per i b-side!
Adoro quel film!l’ho visto dieci volte….e adoro Les Zazous di keiko (forse uno dei pochi profumi della Mecheri che indosso con piacere.
Adoro il film.L’ho visto molte volte e il profumo è il mio preferito tra quelli di K.Mecheri.