Le meraviglie odorose di Spice Bazaar (Nishane) tra le pagine di La nuova vita (Orhan Pamuk)
“Io tenni li piedi in quella parte de la vita di là da la quale non si puote ire piú per intendimento di ritornare” – Dante, La vita nuova, XIV
“Un giorno lessi un libro e tutta la mia vita cambiò.
Mentre leggevo parola per parola, da una parte cercavo di trovare la strada e dall’altra costruivo le incredibili meraviglie immaginarie che me l’avrebbero fatta completamente smarrire.”
Non ne abbiamo contezza, ma tutta la nostra vita può riassumersi in un elenco poetico di emozioni e odori.
Lo spazio plasma l’indole di ognuno di noi, così come i segreti, nascosti nelle piramidi di spezie. Ogni nostro movimento è un moto verso o contro un segreto che non vogliamo svelare, così che la nostra sostanza non è altro che una magnifica architettura di omissioni e segreti che forse nemmeno noi siamo in grado di afferrare.
C’è un’insita complessità nell’animo umano che si propaga in ogni sua rappresentazione. Non da meno l’arte profumiera che traduce in materia ineffabile tutto il mondo di un unico piccolo pensiero dilatandolo, espandendolo, sminuzzandolo in tasselli olfattivi.
Chi scrive non ha ancora capito in pieno Orhan Pamuk, insignito del premio Nobel per la Letteratura nel 2006, certa che non basti “nel ricercare l’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare scontri e legami fra diverse culture” per essere dichiarati i “migliori del proprio campo” su sfera globale.
E in fondo, come pretendere di capire tutto e di intelligere oltre la mano che per prima ha posto le parole che leggeremo? No, la suggestione è tale solo se ci si affida a un Caronte sconosciuto. Così come in La vita nuova di Orhan Pamuk, così come in Spice Bazaar di Nishane.
Lasciate ogni comprensione, alziamo le mani dichiarando la resa verso opere così perfette e nuove da risultare intellegibili. E non potrebbe essere diversamente se l’origine è quel ponte fisico e spirituale, la Turchia, che unisce l’Occidente con l’Oriente e proprio per questa condizione non è né l’uno né l’altro, ma qualcosa di oltre che condensa elementi che potremmo riconoscere ad altri assolutamente incomprensibili.
Per tutte le innumerevoli pagine di Orhan Pamuk, il protagonista rincorre una chimera, un mondo finora soltanto letto e immaginato ma disperso chissà dove nelle pianure dell’Anatolia, percorse in lungo e in largo su autobus che sono gli schermi del mondo e della sua catastrofe. Una istantanea senza tempo di una Turchia sospesa tra nazionalismo orgoglioso delle proprie radici ottomane e suggestione del nuovo occidentale. Applicare il raziocinio occidentale, quel pragmatismo che illumina annientando ogni più piccola penombra, non permette di comprendere il testo delle pagine di Pamuk e le note di Spice Bazaar se, e quando, ci aspettiamo un orientale caldo opulento di velluti addobbato.
Non è di questo che raccontano Murat Katran e S. Mert Guzel di Nishane per mano di Jorge Lee, ma di una Turchia sospesa, moderna, forse dura ma indimenticabile, che incide la nostra memoria olfattiva indelebilmente.
La nuova vita è il racconto, a metà tra l’introspettivo e il noir, del giovane Osman che un giorno si imbatte in un libro che gli cambierà la vita. “Sfogliando pian piano le pagine, un mondo di cui non conoscevo l’esistenza, a cui non avevo mai pensato, che non avevo mai intuito, si insinuò nella mia anima e lì si fermò.”
Da quel breve incontro, e poi dalla sua lettura, il libro diverrà il motore immobile del suo amore per Canan – “mi ero innamorato, mi sarei abbandonato alla smisurata misura del mio cuore” – e dell’incontro-scontro con Mehmet, anche lui travolto dalla luce di quelle pagine, che non saranno mai dichiaratamente svelate per tutto il romanzo di Pamuk. L’improvvisa scomparsa di Mehmet sarà l’inizio di una ricerca che porterà Osman e Canan a vivere avventure al limite del surreale, mossi da una spinta incessante verso un oltre che pare irraggiungibile. “Ci siamo messi per strada, abbiamo girato di città in città, abbiamo toccato la superficie della vita, abbiamo guardato cosa si nascondeva sotto i suoi colori.”
Chi è Mehmet, chi è il Dottor Narin, incontrato in uno dei numerosi viaggi su autobus sfiniti, e cosa fa esattamente la fitta rete di accoliti che il dottore ha intessuto per la salvaguardia della tradizione turca? Sospesi tra speranza e smarrimento, i passi di Osman sembrano intricati, ma l’abilità di Pamuk ci rivela invece che hanno una loro circolarità stupefacente e tutto si ricompone nelle ultime pagine che rendono ancor di più la luminosità rivelatrice del libro di Osman.
“C’era un viaggio, sempre, tutto era un viaggio. In questo viaggio vidi uno sguardo che mi seguiva ed era pronto a incontrarmi nei luoghi più improbabili per poi scomparire e farsi cercare. Uno sguardo dolce, purificato dai torti e dai peccati… Desideravo essere quello sguardo.”
Leggere Pamuk comporta un certo sforzo ma irretisce nell’apparente semplicità e non ti accorgi di come la storia stia modificandosi sotto i tuoi occhi, una magia letteraria di straordinaria forza.
“Un incantesimo così forte con che ricetta può essere realizzato oggi?”
Forse è davvero impossibile riuscire a rendere la complessità di un paese che è ponte se non lo si porta nel proprio dna. E forse è anche per questo che alcune creazioni di Nishane non vengono immediatamente capite dalle nostre narici occidentali. È il caso di Spice Bazaar il cui nome ci evoca strade labirintiche, torri colorate di spezie e polveri, idiomi sconosciuti e profumi caldi, carichi, invitanti.
E invece posiamo sulla pelle un intero paese! L’immagine stereotipata dei suk è subito scalzata da un’apertura fresca più aromatica che agrumata, nonostante la presenza dello yuzu che conferisce un accenno frizzante di buccia schiacciata. Le piccole gocce stillate dallo yuzu, però, vengono subito assorbite da note di ginepro e rosmarino che portano la fragranza verso la sua identità più dominante caratterizzata da sentori legnosi-balsamici. In apertura si avverte quasi un odore di strade calpestate, di polveri che si alzano mischiandosi con le prime note aromatiche. Si dipinge quel luogo altro percorso da migliaia di anni e avvertiamo quasi l’odore freddo dei muri spessi che cingono le città e introducono alla vita.
Magicamente, siamo trasportati in terre smisurate, tra popolazioni che portano la storia sui tratti segnati del volto, negli sguardi profondi e duri, capaci di impastare con mani ruvide e sapienti spezie preziose e silenzi. È questo che rimanda l’apertura insolita di Spice Bazaar e senza accorgercene ci troviamo in un vero mercato delle spezie, lontano dal turismo, dispersi chissà dove.
“A volte al mattino cammino fin qua e dò il benvenuto al sole che mi saluta. La natura è calma, api e serpenti ancora non si fanno vedere. Io e il mondo ci domandiamo a vicenda perché esistiamo, perché siamo qui a quest’ora, a che scopo, per quale grande scopo. Pochissimi mortali pensano queste cose insieme alla natura. (…) Nella natura vedo una dichiarazione forte, una scrittura ricca che mi parla, mi ricorda la forza di volontà che devo sostenere.”
Come nelle pagine di Pamuk, anche Nishane ci confonde mesmerizzando gli ingredienti, facendoli arrivare alla nostra coscienza con misurato tempismo e non ci si accorge che l’apertura è quasi del tutto svanita e prende il posto dell’ormai lontano yuzu, il legno di cedro profuso di cannella. È un legno compatto, molto presente e ricchissimo di essenza che quasi monopolizza la fragranza e senz’altro lo fa per alcuni lunghi minuti. Una sorta di rito di passaggio che ci permette di entrare sempre di più nella fragranza. La cannella è l’elemento speziato, quel tocco quasi giocoso che sospende la fragranza in bilico tra il mistero mistico dei sufi e il vociare irruente dei mercanti. Il gioco dura poco però e la cannella, che sembra essere stata appoggiata sul legno di cedro, viene poi spazzata via con un colpo di mano e a tratti si ha l’impressione di sentire l’odore di quel palmo che, accaldato, sposta i piccoli granelli, imprimendoli tra le pieghe delle dita, fondendo il suo odore caldo speziato con quello della polvere e della sporcizia che naturalmente si raccoglie nei pori della pelle. Ma anche questo è un momento e la giostra olfattiva ricomincia a girare, come le ruote degli autobus che hanno preso Osman e Canan.
“C’era un leggero odore di legno, una freschezza che faceva ricordare il profumo dei vecchi saponi e della gomma da masticare.”
La fragranza riprende a vibrare e muta introducendo la nota che più di tutte si fa dominante: il cumino. Questa spezia, così presente nella tradizione ottomana, è qui resa in tutta la sua corposa evoluzione ed è per questo, forse, che a qualcuno Spice Bazaar non piacerà. Il cumino rende difficile la fragranza, ne riporta la complessità a livelli alti, mascherandola in una composizione quasi monotematica. Ma se ci fermiamo a questa prima impressione, ahimè, possiamo dichiarare di non aver capito il jus. Il cumino è ben presente, ma in una relazione armonica con il legno di cedro e con questo si alterna in un dialogo perfettamente calibrato che riporta pienamente la carica olfattiva dei legni e delle spezie, ossia del contenitore e del suo contenuto e quindi di una terra che è bacino dell’incontro tra culture lontanissime.
Le note fumose del cedro si armonizzano bene con le spigolosità del cumino, la setosità dell’essenza del legno non stona accanto al sentore pieno e quasi fastidioso dei piccoli semi allungati e riporta ad un’atmosfera rarefatta, quasi fosse un antico dipinto di una scena popolare che si ripete immutata nei secoli, cambiano i volti e i nomi, ma tutto resta tale in quest’atmosfera sfumata dalla polvere che si solleva e dall’umidità delle vallate, attraente, forse inquietante, ma senz’altro irresistibile.
La fragranza sembra quasi senza finale, poiché solo dopo molte ore si avvertono minuscoli accenni alle note di fondo, affidate a pepe nero, zafferano e vaniglia, forse usate in dosi così omeopatiche che il trittico non ha sufficiente forza per scalzare le note potenti del cuore. Con molta attenzione, forse si!, avvertiamo la morbidezza della vaniglia, ma l’abbiamo davvero sentita o è una suggestione?
“Tutti erano seduti sotto un dolce sole mattutino e si scioglievano tranquilli nella luce dorata sulla strada come se avessero capito che l’essere sulla terra, la più semplice delle cose, è la benedizione più grande.”
Spice Bazaar non è un profumo estivo, crediamo dia decisamente il meglio di sé nei mesi invernali, quando la pelle non è troppo scaldata dal sole e il “terreno epiteliale” permette di rendere al meglio la dicotomia legno di cedro-cumino, senza risultare troppo opprimente.
La formulazione in extrait de parfum, inoltre, dovrebbe dare un buon indizio circa il dosaggio da indossare. Si consiglia moderazione, un paio di spruzzi saranno sufficienti ad accompagnarvi in un viaggio perfetto, di più cadreste nell’eccesso e forse questo ha allontanato alcuni dall’amore che invece noi nutriamo per questa fragranza.
“Non ricordava da dove avesse tirato fuori il marchio Nuova Vita. Ma pensava che quel magico nome fosse appropriato perché la caramella faceva ricordare alle persone che vivevano in queste terre il loro passato perduto e, allo stesso tempo, l’esistenza di una sensibilità e di un sapore nuovi.”
Spice Bazaar è una sfida al nostro naso forse troppo viziato, tristemente capace di raggiungere solo destinazioni olfattive già note. La fragranza di Nishane ci invita a osservare la penombra, i quadri antichi, a prendere autobus sgangherati in direzioni sconosciute solo per incontrare un mercante rugoso che, allungandoci una mano, intende condurci ad ascoltare il racconto d’amore più antico di tutti i tempi: quello che impasta il mistero della vita e della morte nelle zolle umide di terra e lo cosparge di spezie e ricordi d’infanzia.
“Ecco, la vita era questo, non era né lì, né altrove, né in paradiso, né all’inferno, era esattamente qui, in questo momento la vita era meravigliosa. Quale folle poteva affermare che ci stavamo sbagliando?”
- Ad Augusta, Rubiera
- Alla violetta, Napoli
- Amedei, Arezzo
- Annagrazia, Molfetta
- Beghin, Padova
- Cherry, Roma
- Clementi, Macerata
- Estétique Mary, Vibo Valentia
- Giulio Profumi, Rimini
- Gloria boutique, Modena
- Joi's, Moncalieri
- L'immagine, Torino
- La bottega di Celeste, Cattolica
- Maroni, Salò
- Naldi, Bologna
- Ninfee, Vicenza
- Panella, Fondi
- Parrot and Palm, Torino
- Saide, Carpi
- Sede 32, Bisceglie
- Semenzato, Mira
- Sirotti, Ravenna
- Smalto, Milano
- Smalto, Roma
- Spazio espanso, Roma
- Z&Z Pro, Potenza
- Zibaba, Sestola
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Un profumo strepitoso, inebriante, indimenticabile. Evocativo ed elegante. Cumino rappresentato alla perfezione, in un mix Energizzante di note speziate e fresche. Diverso, deciso, unico.