La Pluie ~ Miller Harris
Ammettiamolo, la pioggia non ci piace: rallenta il traffico, ci bagna gli occhiali, costringe a coprirci, decreta ufficialmente la fine della bella stagione. Insomma, ne faremmo volentieri a meno.
Paul Verlaine, nella sua “Chanson d’automne” parlava con tristezza struggente dei violini d’autunno, di singhiozzi. Il suono della lingua francese, l’andamento della metrica della poesia rendono già la malinconia di una stagione quasi sempre identificata in contrapposizione al rigoglio, all’opulenza e alla gaiezza di quella che la precede.
All’ineluttabile disperazione contenuta in quella lirica certo non giovava la pioggia greve di Parigi, che riduceva i boulevards a corsi ruscellanti di acqua sporca, tanto che già i Romani avevano chiamato l’odierna Ville Lumière “Lutetia” (da lutum – fango).
La pioggia può anche essere questo, soprattutto se la colleghiamo solamente alla fine delle giornate lunghe e splendenti, dei bagni al mare, delle vacanze. Le sono stati attribuiti tanti epiteti, qualificandola, di volta in volta, come romantica, malinconica, furiosa, attesa, stagionale o improvvisa. Nonostante ciò è un fenomeno che affascina gli artisti e, tra questi, i creatori di profumi.
Jacques Guerlain con l’aiuto delle prime materie di sintesi descriveva romanticamente la Parigi fin de siècle dopo un violento acquazzone con l’orientale floreale Aprés l’Ondée (1906); Camille Goutal e Isabelle Doyen con il floreale verde Un Matin d’Orage (2009), ci porgono con grazia una gardenia rorida di pioggia primaverile. Jean Claude Ellena, maitre parfumeur di Hermes, ma Naso indipendente per Frederic Malle, ardisce mettere nella boccetta di Angelique sous la pluie (2000) l’odore difficile, aromatico muschiato, di un’ombrellifera che cresce selvatica nei campi, l’Angelica archangelica, immaginata sotto la pioggia che inzuppa i viottoli.
Infine Mona di Orio, che alla domanda di Extrait su quale fosse l’odore che amava di più< rispose “il profumo della pioggia”, il petrichor, fatto di umori vegetali caduti al suolo e rilasciati quando questo viene bagnato.
Tuttavia, per sentirci ancora nel mood della bella stagione, così effimera, possiamo cambiare orizzonte, clima, stato d’animo. Ci è riuscita con ottimi risultati Lyn Harris, creatrice di Miller Harris, con il suo floreale acquatico La Pluie (2011) uscito in coppia con quel La Fumée che in seguito ha dato inizio a una fortunata collezione dedicata all’Oriente.
Il garbato giardino alla francese di Jacques Guerlain e l’umida gardenia di Annick Goutal lasciano il posto a una terra ardente, in un fantastico paese in cui la pelle della gente è perennemente abbronzata da un sole che non dà tregua, dopo giorni in cui il caldo ha fiaccato gli animi, e in cui il desiderio di uno scroscio ristoratore si fa urgente.
Finalmente cominciano a cadere le prime gocce, che in pochi minuti diventano una cortina d’acqua. In questa terra assolata e asciutta al limite della sofferenza, il suolo viene sferzato con furia e da esso, a poco a poco, evapora una brume sottile, sublimazione di olii colati dalla vegetazione e trattenuti nel terreno fino a quel momento. Il vapore che si alza mano a mano che il suolo si intride d’acqua sa di polvere, note balsamiche, di erba e terra calpestata, di umido, di profumi di fiori splendidi ed effimeri talmente intensi da stordire. Ecco, tutto questo è La Pluie di Miller Harris, fragranza che racconta un acquazzone tropicale con l’equilibrato stile british che contraddistingue la creatrice.
Racconta dell’umido degli anfratti, dell’aroma fougére delle spighe di lavanda, del twist vivace delle bucce di bergamotto e tangerino, in un finale sensuale di fiori bianchi di gelsomino, delicati batuffoli di mimosa, temperato dalla nota originale di grano maturo.
L’ylang-ylang suona nell’insieme la sua melodia quasi officinale, addolcito dalla nota armoniosa dei fiori d’arancio. Infine, l’esotica orchidea vaniglia delle Isole Reunion, insieme con il suo conterraneo vetiver, chiudono con dolcezza e decisione questa immaginaria reazione della terra assetata che viene sferzata dall’acqua di una pioggia tropicale, che rasserena e distende, che non intristisce, ma dà ristoro, e ne esalta l’essenza sconosciuta e misteriosa.
In questa composizione nulla è gridato, ma nulla è lasciato nell’ombra: come in una rappresentazione teatrale, ogni elemento che lo compone, si presenta a turno al centro del palcoscenico, si fa riconoscere nitidamente e poi lascia spazio agli altri. I profumi di Miller Harris non sono fatti per lasciare la scia, sono un regalo che facciamo a noi stessi, che viene percepito solamente da chi ha il permesso di venirci molto vicino.
Mentre la fragranza si fonde con la pelle, rilascia con delicatezza e discrezione le prime ariose note di mandarino italiano e aromatiche di lavanda francese, salvo poi sorprendere con la tenacia tipicamente esotica delle note di cuore di fiori bianchi impregnati di pioggia. Infine, svela un sillage ammaliatore fatto di tocchi cremosi e asciutti. L’evocazione della fragranza non rimanda, quindi, ai singhiozzi dei violini d’autunno di Verlaine, ma alla danza felice di chi gode di un dono prezioso della natura e ne aspira avidamente il profumo.
Un Anonimo ha scritto: “Chi dice che il sole porta la felicità non ha mai ballato sotto la pioggia”.
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Profumo splendido, riesce ad essere romantico senza leziosità. Fate bene a riproporlo, penso che non abbia avuto il successo che merita veramente.
E’ uno dei pochi fioriti che riesco a indossare senza che mi venga il mal di testa dopo 5 minuti. Mi fa sentire bene… Sono fortunata, la mia pelle lo ama e lo trattiene bene, mentre secondo altri pecca di persistenza. Secondo me è una questione di abitudine. Io amo i profumi delicati, sottili… c’ho il naso allenato, per questo riesco a seguirlo tutto fino in fondo.
Complimenti, bellissima descrizione. Concordo con diana, il lancio in coppia con La Fumata (creazione superba) l’ha messa in ombra, facendola apparire quasi banale. In tutta sincerità avrei gioito di più se Miss Harris avesse sviluppato il filone acquatico invece che quello fumante, ma capisco che quest’ultimo le garantiva più vendite. Gli orientali sono facili, piacciono a (quasi) tutti e “tirano” sempre, per sbagliarne uno bisogna impegnarsi tanto.
carino, ma muore male ed ha poco carattere, peccato… Se in coda ci avessero messo note terrose più decise potrei dargli un 6+, con la formula attuale mi dipsiace non raggiunge la sufficienza
Si scrive “fiori bianchi di gelsomino”, si pronuncia hedione, impazzisco per questa molecola! L’accostamento con Un Matin d’Orage lo trovo corretta per quanto riguarda il tema pluviale, ma ci trovo tante assonanze anche con Vent de Folie!
Ringrazio tutti per i contributi e per i complimenti.
La Pluie sa conquistare chi non ama i fioriti classici e nemmeno gli orientali classici, e gli acquatici classici…
Miller Harris ha saputo creare una crasi tra queste tre categorie, per stupirci ancora una volta. Au revoir!
Mi ricorda l’emozione della lettura di uno dei miei libri preferiti, “La pioggia prima che cada ” di Jonathan Coe, leggendolo ho respirato separatamente ad uno ad uno e poi nella loro totalita’ gli odori che l’umidita’ e poi le gocce di pioggia trasformano e mi ha provocato malinconici ricordi, nel profumo avrei preferito accenti piu’ decisi ,la mia pelle purtroppo non lo trattiene a lungo e la bellezza del ricordo svanisce piu’ velocemente di quanto avrei voluto.