Il rossore glaciale di Jasmin Rouge (Tom Ford) profuma la suspence noir di Frantic (Roman Polanski)
Frantic è un film del 1988 scritto e diretto da Roman Polanski. Protagonisti di questo film sono Harrison Ford, Betty Bukley e l’allora esordiente (aveva appena 19 anni) Emmanuelle Seigner. Da molti considerato un Polanski “sotto le righe”, è un classico esempio di pellicola piaciuta più ai critici che al grande pubblico; e tuttavia, questo Polanski “minore” con il tempo si è conquistato un nutrito gruppo di estimatori facendolo ormai assurgere nell’empireo dei cult cinematografici.
Stessa sorte ma capovolta (cioè quella di non essere graditi dalla critica, ma di piacere al pubblico) è capitata in campo olfattivo a uno dei più controversi gelsomini dell’era moderna: Jasmin Rouge di Tom Ford.

Liquidato come un semplice orientale floreale dalla denominazione accademica, questo prisma di eleganza enigmatica esordì nella Private Blend del designer americano nel 2011 e fu subito relegato all’angolo dai tecnici estimatori del mitico fiore narcotico; ingiustamente infatti, subì l’incauto paragone con altri gelsomini famosi, in primis À la nuit di Serge Lutens. Ma con la potenza del suo rossore glaciale, Jasmin Rouge si è conquistato con il passaparola dei suoi appassionati fruitori un lento e meritato successo; a tutt’oggi si conferma l’unico gelsomino non indolico in grado di accendere la sensualità di chi lo indossi e di attrarre magneticamente i nasi altrui con algida accondiscendenza.
È singolare come un fil – ovviamente – rouge colleghi lo stilista americano al regista polacco: di fatto, possiamo affermare che con il suo Jasmin Rouge Ford strizzi l’occhio a un modo tutto europeo di intendere la profumeria pur avversando l’understatement della tradizione con la polemica enfasi del glamour patinato; allo stesso modo, Polanski celebra un omaggio a un genere cinematografico continentale (il noir) ma sgranandolo con la trama sfilacciata di sottesi psicologici tratteggiati in un grigio sfumato. Ma un sexy Rouge è anche il colore dei vestiti delle due protagoniste di Frantic in sequenze salienti della pellicola: una su tutte, quella del ballo sensuale fra Harrison Ford e la Seigner nel discoclub, sulle note ipnotiche di Strange, I’ve seen that face before (versione dance di Libertango di Astor Piazzolla, nel film resa iconica dalla voce di Grace Jones).
Frantic ha pian piano sedotto i cinefili per il suo essere anche un sincero omaggio al grande maestro Alfred Hitchcock; ad occhi esperti non può sfuggire una trama che occhieggia allo stilema di capolavori quali “Intrigo Internazionale“ o “L’uomo che sapeva troppo”: cioè l’uomo comune che si trova alle prese con improvvisi eventi eccezionali. Infatti il protagonista, il dottor Richard Walker (Harrison Ford), arrivato a Parigi dalla California insieme a sua moglie (Betty Bucley) per un congresso, si ritrova coinvolto in uno scambio di bagagli; mentre Richard è sotto la doccia, Sondra e una delle valigie scompaiono misteriosamente. Da qui in poi inizierà per il dottor Walker una corsa frenetica (frantic, per l’appunto) contro il tempo e contro personaggi inaspettati per ritrovare la moglie (corsa peraltro enfatizzata e sostenuta dalla magistrale bravura di Ennio Morricone).
Fondamentale è l’incontro fra il protagonista e la conturbante Michelle (Emanuelle Seigner), la proprietaria della valigia scambiata; chiarito l’equivoco dei bagagli, i due inizieranno a collaborare e la macchina da presa li seguirà nel loro angosciato e sempre più affannoso tentativo di risolvere la situazione.
Polanski dimostra nei primi 40 minuti del film di aver assorbito con devozione la lezione del Maestro del Brivido (grazie anche a un Harrison Ford in forma smagliante nell’impeccabile connotazione di spaesamento che sa donare al proprio personaggio): il ritmo è incalzante, teso, claustrofobico, come da manuale. Poi pare, nella seconda parte, spostarsi più sul terreno del crime, con un assetto più lineare ma declinato in una versione intimistica e calato nella crepuscolare cornice di una Parigi ostile.
Via via, un opprimente senso di solitudine e alienazione si impossessa dello spettatore. All’inabissarsi della suspence corrisponde un turbine sotterraneo e di raffinato gioco erotico fra Harrison Ford ed Emmanuelle Seigner; la cinepresa coglie ed esalta un rendez-vous di sguardi, detti non-detti, desideri smorzati dalla rocambolesca situazione. I due attori non sbagliano una mossa, in un balletto recitativo di erotismo taciuto ma in bilico come una spada di Damocle, che però non cadrà mai nel corso del film. La Seigner è perfetta: occhi penetranti ma ingenui, corpo sinuoso ma acerbo, movenze decise ma attitudine fragile. Harrison Ford risponde a tono, mostrando una cedevolezza mal contenuta ma salda, un interesse tenero e sessuale sublimato da occhi di chi vorrebbe ma non può.
E questo è il Noir secondo Monsieur Polanski.
Con Jasmin Rouge pure Tom Ford gira un cortometraggio olfattivo che ritrae un gioco edonistico a due, fra il gelsomino e la nostra pelle: si cimenta con il fiore principe della profumeria attraverso una sceneggiatura fatta di tensione, ritmo serrato e lucidità narrativa ma trascendendo il bianco turgore invitante dei petali. Tom Ford scrive per il suo Jasmin una sequenza d’apertura che vede il gelsomino apparire e poi sparire lasciandoci il naso immerso in un pugno di indizi e in balia di un apparente equivoco. Una punta fresco-agrumata ci confonde le idee e pure noi ci ritroviamo spaesati come Richard Walker quando capisce che la moglie è stata rapita. Dov’è il nostro fiore bianco? Perché lo avvertiamo, è lì, ma attorno un turbine di comparse ci confondono. Non è forse il neroli che illumina l’assoluta dei sepali notturni? E quel riverbero che sciaborda dall’acquatico al verde profondo non potrebbe essere salvia sclarea? L’atmosfera è di un lusso glaciale. Il gelsomino è altero, per nulla olioso ma lucido e fluido; si fa rincorrere, vuole flirtare con noi ma tergiversa. E allora via a un caleidoscopio di spezie che surriscaldano il ghiaccio. E gli sguardi si accendono al suon di un tango re-inventato.
Zenzero e cannella si smorzano sul fondo e lasciano spazio all’edonismo dell’ylang. Ora è tutto uno scuotere di gambe chilometriche fasciate da una minigonna rossa mozzafiato e piedi nervosi arrampicati su stiletti vertiginosi. Di bianco resta solo un’idea: mille sfumature Rouge ci volteggiano attorno e vanno dalla voluttuosa stretta dell’ambra alla dolcezza di una vaniglia cremosa.
Audace e furbo, candido ma penetrante, rosso di spezie, bianco di cremosità, intimo (perfino anatomicamente intimo, a detta di Tom Ford) ma sfavillante come un red carpet hollywoodiano: Jasmin Rouge è un successo partito in sordina ma che, a falcate sinuose, ha conquistato la sua Hall of Fame. Una volta sbocciato, ama rimanere sdraiato sulla pelle con una sicura proiezione, prediligendo un tête-à-tête piuttosto che un’ampia scia, confermandosi seduttivo fino alla fine.
E questo è il Rouge secondo Mister Ford.
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