Il genio rauco di Doctor (Tom) Waits nelle note assordanti di (Mr.) Hyde (Hiram Green)
“C’è abbastanza catrame da asfaltare un’autostrada.”
(Rolling Stones commenta la voce di T. Waits all’uscita di Heartattack and Vine nel 1980)
Il prossimo 7 dicembre compirà settanta anni e, ad essere sinceri, il polistrumentista di Pomona, California, li dimostra tutti e settanta. Ed è un vanto, per uno come lui che ha fatto della celebrazione iperrelistica dell’esistenza il suo leitmotiv artistico. Tom Waits indossa la vecchiaia con la grazia sorniona e compiaciuta di chi sta fuori dal coro da una vita pur esercitando sul pubblico un forte ascendente che ha trovato le più svariate forme d’espressione: Waits suona, canta, scrive, recita… E lo fa da sempre ad “alta gradazione alcolica”.

In fondo è uno partito da zero. Ha quella faccia un po’ così, da spostato; il cappellaccio buttato sulla testa tutto da una parte, scarpe italiane a punta e una giacca due misure più grandi. “Non è vero“, direbbe lui strascicando le parole, “i miei vestiti sono perfetti, li disegna Walt Disney”. Macchie di unto sulla camicia, Lucky Strike sempre accesa fra le dita e un bicchiere di whisky come padre confessore.
Leggi i testi di Waits e non puoi che calarti nell’atmosfera fumosa dei localacci malfamati e puzzolenti dei sobborghi americani: sigarette accese e mai spente e bourbon che innaffia il cocktail di jazz, blues e musica intima da chansonnier europeo. Buio pesante come un bidone, pioggia lercia su una America ancora più lurida; personaggi intrisi di male di vivere, come una sardina di olio, e sfortunati Rain Dogs (cani randagi, come lui stesso amò definirsi in uno dei suoi primi successi). Un autunno esistenziale che non ha mai fine, che scorre con le tonalità sanguigne della Los Angeles del crepuscolo, bruciando l’intestino attraverso i fiumi di alcool e i ritmi sincopati del rhythm & blues o nel sospeso elegiaco mormorare di ballate folk struggenti (Savin’all my love for you), Tom da sempre raucheggia poesia nel cuore di una notte maledetta che più del giorno evidenzia i difetti e i pregi degli uomini. Narra storie che si consumano nel fiotto che scorre da una bottiglia. Tom è (whisky) doppio, come ogni artista; difficile sapere dove termina l’estro toccato da chissà quale demone e l’uomo alto e impacciato che, come si racconta, è capace di addormentarsi su una sedia, fra una ripresa e l’altra dei film cui dona il suo prezioso apporto (come non ricordare il suo cameo in Dracula di Bram Stocker).
Un Doctor Jekyll e Mr. Hyde. E si chiama proprio Hyde, il profumo di Hiram Green che sembra tagliato addosso a Tom Waits.

“Cos’altro c’è nella vita oltre a bere, fare l’amore, puntare sui cavalli e scrivere? Quando sei ubriaco la fortuna t’ha da assistere per forza, anche se sei nato sfortunato.”
(Charles Bukowski, compagno di bisboccia di Waits nei primi Anni Ottanta)
Esiste il forte dubbio che Waits – se non altro quello dei primi tempi, il ragazzo appassionato di jazz Anni ‘30, pianista autodidatta – usasse profumarsi; all’epoca, impiegato come portiere all’Heritage, tornava a casa di notte e scriveva sotto forma di bozzetti tutto ciò che gli era accaduto. E forse qui in nuce vi è il Tom successivo, quello che imposterà la prima parte della sua carriera sulla costruzione di composizioni musicali e letterarie à rebours; il ricordo è terreno fertile, ma nella prospettiva deformante di uno specchio interiore. Ubriaconi, vagabondi, soldati e marinai popolano la sua prima produzione con il loro bagaglio di immonda, vitalistica energia.
Attorno agli Anni Ottanta il suo stile musicale si arricchisce di nuance fino a rendersi incatalogabile e la voce di Tom si fa spaventosamente rauca e sporca: come se il dinoccolato musicista avesse introiettato il deteriorarsi dei suoi personaggi. In questo contesto vede la luce l’osannata Jersey Girl (ripresa, senza lo stesso appeal, da Springsteen) e l’alter ego Hyde inizia a furoreggiare sui palchi di tutta l’America.
E Hyde – il profumo – è una botta. Inutile nasconderlo. Forte. Animalico. Accattivante. Mefistofelico. Un giovane Waits liquido, in tutta l’arrapante e arrapata baldanza di una performance delle sue. Crepita divampando come un camino ardente in pieno inverno questo profumo di Hiram Green (Art & Olfaction Artisan Award Winner 2019). Un fuoco che magnetizza l’attenzione e in cui pare stiano caramellando limoni e bergamotti. Ma è il catrame di betulla che impera e scricchiola, avvolto dal guanto dell’acacia cui sussurra versi ermetici.
L’alito di Hyde sa di puro malto ma la sua è una bocca che racchiude comunque in sé i fiori della creatività: il cassis, verde e speziato, conferisce sensualità e leggerezza, agganciandosi al frizzante amaro del bergamotto. Come Tom, appena mette piede sul palcoscenico, è una fragranza che sbraita, pretende attenzione, ma ti ricompensa con un talento ineccepibile, una qualità di ingredienti palpabile con le dita. È un profumo che cerca di “tenere il Diavolo nel buco” ma non ci riesce: assordante come diabolica energia fumiga.
Il primo potente attacco, poi, regredisce nel vellutato fraseggiare di un sax tenore. Waits/Hyde sa raccogliersi nei vibranti ma pacati versi della poesia musicale.
I can’t tell you is that a siren / or a saxophone? / But the roads get so slippery / I love you more than all these words can ever say / Oh baby this one’s from the heart.
Non riesco a capire se quello che sento è una sirena / o un sassofono / Ma la strada è così sdrucciolevole / Ti amo più di quanto le mie parole possano esprimere / Tesoro questo viene direttamente dal cuore.
(Da This one’s from the heart)
Le urla fiammeggianti sputano le loro ultime lingue su una vena riflessiva che ha la tonalità minore di un’ambra triste come una stella cadente. È caldo il respiro che forma il canto sommesso di lievi dolci tocchi di miele grezzo; ora, tutto il mondo è verde e tranquillo.
Hyde si asciuga e dai personaggi sui generis dei primi tempi vira invece alle strofe romantiche mormorate sul collo. Echi di vaniglia lentamente emergono dalle ceneri; dissipato l’incendio, sul muschio di quercia spira un nuovo vento morbido e confortevole: un finale jazzato che non lascia tregua nemmeno ai cuori più serrati.
Sillage da concerto dal vivo e persistenza lunga quanto una carriera, Hyde muta ma non molla la presa, in una incredibile performance. Profumo forse al limite per l’indosso quotidiano, ma che regala emozioni come poche sanno fare. Sregolato, come lo chansonnier losangelino sacrifica il compiacere facili palati per calare il suo flemmatico affondo su animi coraggiosi e travagliati.
Accoppiata dolce/amara, Waits e Hyde sanno prenderti come nessun altro.
Nessuno. Nessuno è forte come loro due.
Nobody, nobody, will ever love you / The way that I love you / Cause nobody’s that strong / Love’s bittersweet, life’s treasures deep/ No one can keep a love that’s gone wrong.
Buon compleanno, Doctor Waits.
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