Hanae (Keiko Mecheri) incontra Il Paese delle Nevi (Yasunari Kawabata)
“– Ma a che serve?
– Proprio a niente.
– Uno sciupio di energie.
– Un totale sciupio di energie”
(Yasunari Kawabata, Il Paese delle Nevi)
Nel 1968 a Stoccolma venne conferito il premio Nobel per la Medicina a Robert William Holley, Marshall Nirenberg ed Har Gobind Khorana per aver saputo descrivere i meccanismi della sintesi proteica. A René Cassin spettò il premio Nobel per la Pace grazie al suo impegno presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il Dottor Alvarez ricevette il riconoscimento per la Fisica e Lars Onsager per la Chimica. La sala, si vede nei video di repertorio, era gremita di donne elegantissime e uomini in frac e, forse proprio per questo, spiccava ancor di più un esile uomo dai lineamenti orientali nel tipico abito giapponese da cerimonia.
Il conferimento del 1968, verrà ricordato perché per la prima volta venne assegnato il premio Nobel per la letteratura ad uno scrittore giapponese. L’esile uomo era infatti il grande Yasunari Kawabata. “Per la sua abilità narrativa, che esprime con grande sensibilità l’essenza del pensiero giapponese” fu la motivazione del premio. E in effetti Kawabata riuscì con i suoi romanzi e i racconti a descrivere con inarrivabile maestria la natura sospesa e cristallizzata di certi scenari nipponici, toccando vette descrittive, forse ostiche per un lettore occidentale, più abituato a storie legate da una trama ma capaci di trasmettere quel senso del fluire poetico e irreale.
C’è sempre nella letteratura giapponese qualcosa che irrimediabilmente sfugge, un senso dell’effimero e del trascendente che può essere colto soltanto attraverso l’intuizione e che non si lascia in alcun modo ridurre ad una forma precisa. Kawabata fu promotore del movimento neopercezionista che riportava la realtà attraverso l’immediatezza delle sensazioni ed è proprio questa immediatezza delle sensazioni, quasi l’unico elemento del suo libro più famoso: Il Paese delle Nevi.
Vi si narra la relazione tra Shimamura, letterato di Tokio, e Komako, giovane geisha del paese delle nevi, destinata a durare nel tempo, pur non sbocciando mai completamente, ma restando, piuttosto, sospesa, sussurrata, cristallizzata in un mondo simbolico e ultraterreno.
“Egli chiamava il suo lavoro ricerca ma in effetti si trattava di libera, sbrigliata fantasia. Preferiva non assaporare il balletto nella tangibile realtà, ma piuttosto deliziarsi ai fantasmi della sua immaginazione evocati dai libri e dalle fotografie occidentali. Era come amare una donna che non avesse mai visto“.
Tutto scorre nelle pagine fluidamente e ci pare che la storia non abbia un inizio né una fine. Siamo disorientati, ma abbandonando la necessità di una trama, le sensazioni prendono il timone del nostro leggere e ci trasportano in un ritmo lento, melodioso, fatto di gesti accennati, di frasi sospese, di paesaggi così incantevoli da lasciare stupiti.
“Egli si chiese se il fuggevole paesaggio non si potesse intendere come un simbolo del trascorrere del tempo“. E di paesaggi è composto il libro e la vita dei due protagonisti che intessono i fili del loro amore legandoli stretti alle vallate silenziose e ai boschi di cedri, umidi e ombrosi, del paese delle nevi. L’effetto è un libro senza tempo, come solo Kawabata sa fare, e così consegnato nelle braccia dell’eternità.
“La gente è delicata, vero? – aveva detto Komako quella mattina. Ridotta in poltiglia. Si dice, cranio, ossa e tutto. Un orso potrebbe cadere dalla roccia più alta e non ferirsi minimamente – C’era stato un altro incidente su fra le rocce, e ella aveva indicato la montagna sulla quale era accaduto.
Se l’uomo avesse una pelle ruvida e pelosa come l’orso, senz’altro la sua vita sarebbe diversa, pensò Shimamura. Era attraverso una pelle sottile e liscia che l’uomo amava. Guardando le montagne nella luce della sera Shimamura sentì un ardente, struggente desiderio della pelle umana.”
Sembra non rivelarsi mai il desiderio di Shimamura per Komako, viva e sensuale ma al contempo irraggiungibile, e in questa tensione ineffabile si concretizza un desiderio reale, quasi tangibile che il lettore percepisce divenendo il terzo personaggio della storia, un occhio esterno risucchiato nel paese delle nevi.
Può deludere i meno tenaci questa tensione che non vede mai una fine, ma con essa raggiungiamo quella bellezza proiettata oltre il tangibile che ci permette solo di intuire, percepire, ma mai afferrare. Sono attimi fuggevoli, ologrammi evanescenti che in un lampo evaporano, ma che riescono a colmare i sensi di appagamento. E’ quell’estetica del vuoto, tanto cara all’autore, che permette al pensiero di annullarsi per arrivare al cuore delle cose.
La stessa estetica del vuoto la ritroviamo in Hanae di Les Parfums Keiko Mecheri.
Il profumo di Keiko Mecheri è, per definizione, quanto di più evanescente si possa immaginare eppure le tracce olfattive si imprimono nella memoria come solchi, non le puoi afferrare, ma catturano i sensi e hanno il potere di trasportarci in una dimensione che trascende la realtà concreta.
“Con la pelle simile a porcellana bianca, velata da un delicato rossore, e la gola non ancora tornita, da fanciulla, ella dava soprattutto l’impressione di una meravigliosa freschezza, se non di una vera bellezza.”
Komako è forse Hanae? O Hanae rappresenta il tutto, la dimensione ultraterrena della vita descritta da Yasunari Kawabata? Non vogliamo sciogliere l’interrogativo, lo lasciamo fare al lettore, ma certo questa eau de parfum creata nel 1998 racchiude nel suo jus un’anima delicata, sfuggente, ma proprio per questo seduttiva e benefica.
L’apertura ci trasporta immediatamente in una dimensione luminosa e delicata, grazie a note esperidate che introducono ai primi sentori di fiori bianchi, appena accennati, ma non ancora totalmente presenti. E’ un testa gioiosa, dove poco dopo fanno la loro comparsa sentori di frutti rossi spruzzati da note agrumate per spezzarne il lato troppo zuccherino.
Hanae rivela il suo lato fanciullesco nella testa, ma è una giovinezza fuggevole, come quella di Komako, giovane geisha delle montagne.
Le note fruttate dialogano ancora con i fiori, che si espanderanno per tutta la proiezione del profumo, e che sapranno evolversi con la leggiadria di un velo lanciato in aria e lasciato adagiare sull’erba soffice.
E’ l’elogio del vuoto che riporta al cuore delle cose, Hanae, e come tale va scoperto con pazienza, per non lasciarsi sfuggire i guizzi sottili del suo cambiamento. Le note esperidate che accompagnano l’apertura hanno vita breve e lasciano spazio ai fiori bianchi che, nell’evoluzione, si mostrano sempre più presenti, pur restando sospesi in un gioco di equilibrio fragile come il battito d’ali di una farfalla, ma potenti come il suo volo nelle valli scoscese tra le montagne.
E’ qui che Hanae rivela il suo lato elegante, fuori dal tempo, rivelandosi un abito odoroso che non passa mai di moda e che non sa stancare. Hanae è un compagno discreto, che fa percepire la sua presenza senza renderci completamente coscienti, è una presenza sicura, fragile ed evanescente, nel senso più nipponico del termine. Non siamo di fronte a una composizione facile da dimenticare, né stucchevole pur nella sua luminosità, né tantomeno a un jus già sentito.
Hanae è come il paese delle nevi: un ologramma che trema alla luce diretta del sole, ma potente e incisivo quando scendiamo nei chiaroscuri dell’animo umano. E’ sottile, come la pelle sottile degli umani, ma è immortale come i paesaggi poeticamente dipinti da Kawabata.
L’evoluzione dei fiori bianchi è il fil rouge che accompagna l’olfatto verso le note di fondo che rivelano la sfaccettatura poudre dei fiori fusi con note di muschio cristallino, una sensazione di estasi che perdura sottile sulla pelle per molte ore, come un minuscolo gioiello capace però di lanciare bagliori iridescenti potentissimi. Indossare Hanae è decidere di farsi accompagnare per molte ore da una fragranza che sa mantenere in equilibrio gli opposti, senza perdere in raffinatezza, con tratti precisi e misurati.
Fragile, sospeso, chiaro e di una bellezza incantevole, Hanae rimanda a un luogo soave incastonato tra il cuore e l’anima e custodisce per noi il senso profondo delle cose.
“Egli guardò su di nuovo e la Via Lattea si abbassò ad abbracciare la terra. E la Via Lattea, come una grande aurora, penetrò il suo corpo per fermarsi ai limiti della terra. C’era in essa una calma e gelida solitudine e una sorta di voluttuoso stupore.”
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Una fragranza come una raffinata opera di cesello… delicata e tenace nel contempo, realizzata con mano leggera ma sicura e con grande chiarezza di idee… UN CAPOLAVORO!
Un grande grande profumo!
Bellissimo pezzo. Complimenti!
Harumi87 grazie! Il tuo nickname mi fa pensare ad un’amante dell’estremo oriente….sbaglio?
Non c’è niente da fare, la Mecheri è una spanna sopra a tutti gli altri, lo dice questo profumo. Peccato sia famosa solo per Loukhoum.
Profumo incantevole… nessuno come lei riesce a distillare l’incanto dei fiori bianchi. Consiglio a tutti White Petals e Datura Blanche!
Le bottiglie di Madame Mecheri mi fanno impazzire, hanno un che di misterioso, sembrano disegnate per contenere esclusivamente incantesimi liquidi.
Brava Anna!!! Anche questa volta mi hai lasciata a bocca aperta! Mi dai qualche indicazione sulla persistenza, temo sia troppo sfuggente per me. Grazie!
Ciao olghina è un profumo delicato, ma la persistenza c’è eccome…da provare se ami le creazioni che non fanno di te un semplice portatore di profumi ingombranti! Hanae sa fondersi con chi lo indossa ed esaltare le sue note senza stordire, con una presenza nel tempo discreta ma costante.
Ogni tanto fa bene riscoprire profumi non più nuovisismi, grazie Anna!
è vero! A volte la voglia di novità ci fa dimenticare creazioni perfette!
E’ vero Eleonora G e questo merita senz’altro!
Stupendo!!
Di rado ho verificato un esperire tanto efficace tra letteratura e sensi; e’ con stima profonda che le esprimo i miei piu’ vivi complimenti. Da una appassionata di letteratura giapponese e di profumi.
La ringrazio sentitamente per i complimenti e per la passione.
Quando, in eta’ ampiamente adulta, ho scoperto I profumi della signora Keiko Mecheri, ho scoperto il mio “abito di profumo” e un mondo olfattivo umico.
Grazie.
Teresa