Gli accordi di Gran Ballo (Casamorati) danzano nelle pagine de Il Gattopardo (Tomasi di Lampedusa)
Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.
A volte, tornare ai classici può far riscoprire il valore di una cultura più di quanto non si possa fare immergendosi in moderne produzioni. Ciò è ancor più vero se cercando tra gli scaffali ci si ritrova tra le mani una copia de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Curiosità vuole che un evidentemente non ben consapevole Elio Vittorini bocciò la sua edizione sia per Mondadori che per Einaudi e che quando, poco tempo dopo, Feltrinelli fece del romanzo un clamoroso caso letterario, questa imprudente svista fosse ricordata e citata. Fallimenti e successi di un tempo florido, con un soffio di nostalgia che anima queste parole. Forse è stata proprio la forza della nostalgia che ha spinto Sergio Momo a riportare in vita il marchio Casamorati, con i suoi jus dallo spiccato stile retrò capaci di evocare abitudini e spazi di un tempo ormai lontano. Il tempo del Gattopardo e della nobile famiglia Salina, che echeggia ancora nelle terre aspre percorrendo con i passi carichi dell’opulenza barocca siciliana l’epoca incerta dei moti garibaldini.
Nel romanzo si narrano, per voce e pensiero del suo capostipite, il Principe Fabrizio, le vicende della famiglia Salina e di una Sicilia ruvida e implacabile nei giorni del Risorgimento, quando l’aristocrazia borbonica, ubriaca della sua stessa ricchezza decadente, sta ormai cedendo il passo alla nascente borghesia, figlia di un’Italia destinata ad unirsi. Gli occhi acuti e disincantati del principe, si addolciscono solo quando si posano sull’irruente nipote Tancredi irriverente e amorevole, quanto spavaldo e nullatenente. Sarà lui a proferire una frase che avrà il peso di una sentenza e sarà profetica ben oltre le pagine del libro: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Ora però l’attenzione si sposta sulla futura sposa di Tancredi, l’avvenente Angelica, figlia ricchissima del modesto ma scaltro Calogero Sedara. In lei, una commistione di erotismo animale e disarmante innocenza si mescolano come essenze preziose rendendo la giovane una calamita per gli occhi quando farà il suo ingresso al gran ballo dove verrà presentata come la fidanzata di Tancredi e quindi, di diritto, annessa all’entourage della nobiltà palermitana. Ed è proprio la scena del ballo, resa immortale dall’omonimo film di Luchino Visconti, che attira la nostra attenzione poiché rappresenta la connessione a una fragranza tra le più amate di Casamorati. Gran Ballo, infatti, è un’eau de parfum capace di evocare gli sfarzi dorati, i velluti cremisi dei saloni tirati a lucido che attendono le dame con i loro abiti ampi. L’eau de parfum è l’essenza odorosa della danza, un valzer sontuoso che evoca i sospiri, le attese delle giovani, i palpiti dei cavalieri, le dolcezze zuccherine dei banchetti.
Gran Ballo è la danza di due innamorati, Angelica e Tancredi, che volteggiano in un’apertura frizzante quasi sbarazzina, il sorriso impudico di Angelica racchiuso nelle bacche selvatiche, l’energia di Tancredi nel mandarino che le abbraccia, in un insieme dai tratti aciduli e dolci nel contempo.
Essi offrivano lo spettacolo patetico più di ogni altro, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari in cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione.
Ma se la penna di Tomasi di Lampedusa appare disincantata, in Gran Ballo gli innamorati sono espressi con vigore nei sentori tenaci delle note di testa, che dichiarano come la fragranza sarà sempre sospesa tra la freschezza giovanile e l’elegante sensualità. Piano piano le bacche sembrano schiacciarsi e il succo, che ancora trattiene qualche effluvio di mandarino, cola sensuale verso le note di cuore, dove un tripudio di fiori bianchi, carnosi, esplode come vorticosi giri di danza. Lo splendore virginale del caprifoglio incontra la pienezza della gardenia e l’oscura sensualità del gelsomino sambac, catapultando la fragranza nel parossismo ritmico che confonde, in un miscuglio quasi indistinto di passi e gonne fruscianti. Sembra quasi di sentire l’aria mossa dai ballerini che fa giungere alle narici la morbidezza femminea dei petali candidi ipnotici.
La voluttuosa cupidigia delle note centrali rende la fragranza una celebrazione della femminilità aggraziata che riempie la sala da ballo, che oscura ogni altra bellezza, lasciando poco spazio al tempo e agli affanni della vita. Sono note persistenti, che scaldandosi diventano quasi un burro sulla pelle, avvinghiandosi ad essa per sprigionare al meglio ogni sfaccettatura dei fiori impiegati, in tutti i loro chiaroscuri. Come Angelica, infatti, il cuore della fragranza non è soltanto un’ode alla purezza femminile, ma uno svelare timido e tenace dei lati meno limpidi del suo animo, di quei pensieri proibiti e per questo ancor più desiderati, di quelle aspettative trepidanti racchiuse nel carnet di ballo della giovane.
L’incanto della serata si fa più morbido verso le note di fondo, quando un trait d’union di ambra conduce verso lo zucchero leggermente abbrustolito del caramello, che a sua volta rende meno stucchevole la vaniglia, qui quasi infantile, come fosse un ricordo d’infanzia. Il jus si fa più delicato, quasi arrossisce ripensando al climax di sensualità delle note precedenti. Il fascino non viene meno e Gran Ballo cambia solo danza, scegliendone una più intima e raccolta.
Il fondo è un fluttuare lento di note gourmand che non stanca, ma appaga un bisogno di calma silenziosa dopo che l’orchestra ha suonato l’ultima nota. Restano ancora sottotoni fruttati, ancora qualche soffio di petali bianchi, ma su tutto si adagia tranquillo il sentore zuccherino che sembra quasi una carezza rubata nella penombra della sala ormai sonnolenta.
La notte sta lasciando il passo all’alba, i danzatori si apprestano a lasciare la festa, solo alcuni continuano a danzare nel jus tenace di Gran Ballo, non ancora paghi di quel senso giocoso di sensualità che ha pervaso l’intero evolversi della fragranza, ma ormai quasi tutte le stanze sono vuote, solo echeggiano risate lontane, voci cristalline e, su tutto, il profumo di una festosità gaudente della quale oggi possiamo, appunto, solo odorarne il ricordo.
La folla dei danzatori finì col sembrargli irreale, composta di quella materia della quale son tessuti i ricordi perenni che è più labile ancora di quella che ci turba nei sogni.
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bellissimo
Grazie Simona!
Timido e tenace……l’eleganza fuori tempo del barocco….vorticosi giri di danza: grazie Anna….mi hai regalato un viaggio carichissimo di emozioni!
Straordinaria visione di questa creazione di Casamorati…che il mio naso ancora non conosce: semmai dovessi “incontrarlo” la tua sarà la musica che sentirò salire nell’evoluzione della fragranza….. Mi sembra già di avvertire quel pavimento sotto piedi che fà volare via❤️😉