Filosofia del Profumo #2: la condanna dell’olfatto
1. Rispetto a ciò di cui tratterò adesso è doverosa un’avvertenza: chi scrive soffre di fantosmia. Mai negherò che le riflessioni qui presenti possano essere state influenzate da tale disturbo della percezione. Malgrado il disturbo, non vi è intenzione di fornire una posizione scientifica del fenomeno olfattivo; anzi, servendosi delle posizioni scientifiche, vi è intenzione di fornire la riflessione opposta. Non sussiste, allora, problema.

Dettaglio de “Lo spirito della rosa” – John William Waterhouse (1908)
2. In precedenza ho accennato in che modo l’olfatto nella storia, a parte qualche eccezione, sia stato condannato dalle autorità accademiche: esso, essendo un senso “primitivo”, mal si accordava con un’idea di umanità in evoluzione e “armata” della ragione, contrastando la costruzione della moralità (da intendersi quale costume dell’uomo e della natura) nel mistero dell’esistenza. La condanna, che è in fondo fisiologica, ha costretto l’olfatto in un angolo, e la trascuratezza ha condizionato negativamente l’umanità stessa, tanto che essa si è progressivamente allontanata, e definitivamente scissa, dalla vita; e la sua forma nel tempo, ovvero la cultura, ha sofferto di tale lacuna, divenendo vuota nel piano sentimentale.
3. Quando affermiamo che l’olfatto è “primitivo” dobbiamo considerare tre aspetti metaforici.
a) Innanzitutto perché durante la fase embrionale, dopo l’ottava settimana di vita, compaiono i recettori olfattivi, i quali sono annessi al bulbo olfattivo, contenente l’organo vomeronasale capace di captare i feromoni, che è collegato al sistema limbico, ovvero la parte “primitiva” dell’encefalo. Il naso e la sua funzionalità subiranno un ridimensionamento nel corso dello sviluppo, una sorta di ulteriore condanna voluta appositamente dall’esistenza, ma sono indubbi questi dati: per l’infante, prima fase della vita umana, è fondamentale cogliere l’odore secreto dalle ghiandole sudoripare mammarie (atto che può avvenire, per esempio, durante la suzione), il quale costituirà buona parte della sua identità. L’olfatto è un senso che potrebbe anche non esserci se non ci fosse la femminilità nel cosmo, che è principio “primitivo” e organico delle cose.
b) Poi perché l’olfatto sottomette a esso, con scarse occasioni di evadere: mentre isoliamo agevolmente gli altri sensi non gravando alcunché a noi, improbabile è privarci del respiro; e quindi, sottomettendo, accompagna funestamente il percipiente (senza la propria volontà) all’eccitazione, alla paura o addirittura alla nausea. In altre parole, l’olfatto aumenta o diminuisce la libertà di un individuo, distruggendo finanche il controllo che esso ha su se stesso.
c) Infine perché, soltanto per convenzione, l’olfatto non sarebbe raffinato e dunque incapace di produrre teoricamente.

“Il risveglio di Adone” – John William Waterhouse (1900)
4. L’accordo tra moralità (costume dell’uomo e della natura) e mistero dell’esistenza, invece, apre parecchi paradossi, riassumibili in una banale domanda. Partiamo dal postulato che la fragranza emanata dall’esistenza, sentita con onestà, è appena percepibile e cattiva. Ora, per quale motivo essa si imbelletta incoerentemente di moralità, ossia del suo contrario? Così pare che la moralità venga posta nel mistero, quantunque per derivazione etimologica dovrebbe essere chiuso, proprio perché non presente; ecco che questo “costume” (umano e naturale) avvolge l’esistenza, bensì immoralmente.
5. La condanna del profumo è stata ambigua: quale componente essenziale esso fu assimilato al sacro, alla medicina e all’arte, attività partecipi di un’unica fonte e aventi in comune la purificazione e la cura dell’esistenza; e, a un tempo, fu ripudiato. Oppure, nelle varie speculazioni, prima fu inserito in una “zona” inferiore rispetto agli altri sensi, ritenuti più affidabili, e dopo fu riabilitato attraverso tentativi timidi, e poco incisivi. Per comprenderne i motivi, mi riferirei alle notizie apportate dal mito, le cui mute “fantasie” trattengono delle verità imprescindibili.
Lì il profumo, che fiorisce da una ferita, è associato sempre alla bellezza e alla sessualità, attraversate da devozione e peccato, le quali si contrappongono alla perdita malinconica della fanciullezza, i cui ricordi accentuano la separazione anziché ricompensarci del perduto, e alla morte, ultima fase della vita umana, che dal fetore della decomposizione passerà a qualcosa che non profumerà mai più: la polvere.
6. Tuttavia la condanna dell’olfatto è il vantaggio che ha donato dignità al profumo, dimostrando quale profondità di sapere oscuro esso possegga, e rimarcando i limiti invalicabili che imprigionano l’essere umano alla solitudine del silenzio.

“Ila e le Ninfe” – John William Waterhouse (1896)
Possiamo affermare che l’olfatto sia stato condannato poiché senso che sconvolge il processo esistenziale, il cui obiettivo è superfluo annotarlo, e che tale compito lo innalzi a senso ontologico per eccellenza. Insomma, l’olfatto è un senso che trama “controsenso”: questo spiega la sua destituzione. E nonostante l’avvertenza di chi scrive, ciò non è affatto una fantosmia: perché il profumo fiorisce da una ferita.
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interessante! e’ anche vero che un olio profumato e preziosissimo viene citato nel vangelo, nell’episodio in cui Marta (mi pare) lava i piedi di gesù con un unguento costosissimo e raro e li asciuga con i propri capelli.
in questo episodio sacro e profano si ritrovano accumunati dal senso dell’olfatto .
Buonasera,
si tratta di Maddalena. Forse anche per questo motivo l’iconografia classica la rappresenta spesso insieme a un unguento.
La ringrazio per aver letto l’articolo.
già vero!!