Fate Woman (Amouage) si posa sull’abito color smeraldo di Espiazione (Ian McEwan)
Ian McEwan scrittore inglese di fama mondiale pubblica nel 2001 quello che in men che non si dica si trasforma in un bestseller, un “classico moderno”: Espiazione (Atonement).
Espiazione narra le sorti tragiche di un amore travolgente e “sfortunato “ o forse, meglio dire, dotato di un Destino avverso che nel libro è personificato dai giovani, suggestionabili occhi di scrittrice in erba di Briony, protagonista e motore della vicenda. La scrittura di Ian McEwan scorre senza grinze eppure indaga con perizia introspettiva nelle menti dei suoi personaggi in un continuo riferimento autoreferenziale alla professione stessa della scrittura, in un plot che miscela con saggia sagacia una storia d’amore tragica, guerra (e quindi storia), ma soprattutto la riflessione su temi monumentali quali Destino, Colpa e Riscatto.

Non è eccessivo ammettere che, in parallelo, Amouage con Fate Woman nel 2013 attua lo stesso meccanismo: edita una fragranza che si incastona in una atemporale classicità pur essendo del tutto contemporanea per concept e “trama”, dandogli un nome evocativo e “pesante” che inizia il racconto del profumo stesso ancor prima di toglierne il tappo.
Fate è una di quelle fragranze che ti scelgono; prendono il sopravvento, hanno il potere di decidere le sorti della tua giornata. Un po’ come l’abito che Keira Knightley indossa nel momento clou della riuscita trasposizione cinematografica di Joe Wright del romanzo (2007): le ruba la scena “indossandola”, “recita” per lei, diventando anziché semplice accessorio vero e proprio simbolo. Il torbido amplesso in biblioteca fra Cecilia-Knightley e Robbie-McAvoy (che riproduce fedelmente quella narrata da McEwan) sarà ricordata proprio grazie al drappo setoso di smeraldo che (s)copre l’attrice.

Nella sequenza di fortissimo impatto emotivo, il verde vestito di inaudita bellezza aumenta ed amplia il pathos visivo; creato dalla stilista Jacqueline Durran su misura per la Knightley, è considerato uno dei migliori costumi della storia del cinema. Miscelando seta, organza e chiffon la Durran riprende il look autentico degli Anni ’30-’40 con una freschezza in grado d’essere apprezzato da uno sguardo moderno; Fate lo calza a pennello per atmosfera, piramide, perfino per tessitura olfattiva.
Cecilia si cambia per ben tre volte prima di decidere di infilarsi quel determinato abito nonostante sappia nel subconscio che sia “l’unico” ed è curioso come pure abbini il profumo davanti alla toeletta in un sognante e tormentato preparativo inconsapevole all’evento che cambierà non solo il suo destino, ma anche quello di molte altre persone.
“Inoltre, sapeva benissimo che cosa doveva fare, l’aveva saputo sin dal principio. Aveva un solo vestito che le piacesse davvero, ed era quello che avrebbe dovuto indossare”.
Ecco, Fate è una fragranza che nell’ambito di una collezione per certi versi diventa “quella che si dovrebbe” indossare: un non plus ultra per l’appassionato e per il neofita. Ne sollevi il mastodontico tappo e già una ventata surreale ti circonda; piccante e screziata di bergamotto in spremitura su cui una mano sopraffina abbia distribuito una generosa dose di finissima cannella. Ma l’envol poi si raffredda balsamico al limite del medicinale, diventando “scorrevole”, uno specchio su cui qualcuno abbia spennellato degli acquerelli.
“Mentre se lo infilava si godette la carezza morbida del tessuto tagliato dì sbieco sulla seta della sottoveste, e si sentì liscia e inespugnabile, scivolosa e sicura; fu una sirena quella che incontrò il suo sguardo nello specchio ad altezza completa”. Così, Fate scivola sui polsi inducendo in noi la tentazione di sentirci al centro di una magia.
La testa scelta è composita al limite dello stroboscopico eppure subito si capisce che il misterioso incipit nasconde un cuore “morale” avvolto in strati da sfogliare. Il madreperlaceo riflesso speziato/agrumato si smuove d’improvviso come se fosse acquoso: la rosa così si mostra. Rugiadosa, poi rosso vermiglio, infine burgundi. Esercita il suo potere introducendo con leziosità un cuore stretto nel gelsomino. Questi, indolico quanto basta “sconvolge” gli occhi intonsi dalle perizie del mondo di un narciso freschissimo, quasi come il sesso fra Cecilia e Robbie cambia la percezione della piccola Briony di ciò che vede per puro… fato irrompendo in biblioteca.
“Rimase lì come imbambolata a fissarli, le braccia abbandonate lungo i fianchi, come un pistolero in un duello. In quell’attimo atroce, Robbie si rese conto di non aver mai odiato nessuno fino ad allora. Era un sentimento puro come l’amore, solo privo dì passionalità e gelidamente lucido”.
Sì, anche Fate ha inflessioni gelidamente lucide. Il dorato fiammeggiare nelle retrovie del prezioso labdano conferisce proprio una fuga di calore, dando luce ma sventagliando i fiori e le resine con rarefatta arieggiatura. Deviante in questa fase, Fate sembra scompaginare le nostre aspettative: scardina il nostro scenario olfattivo e mescola le carte del chypre fiorito sul pavimento a mosaico del capolavoro moderno. A man bassa, nel cuore si va a pescare in un compatto battaglione di legni e resine. Ecco, allora, l’appoggio sicuro di un’affettuosa vaniglia che tuttavia non si scioglie in frivolezze ma si asciuga sul patchouli.
Poi un’ombra ammanta la lieve apertura razionale: muschio di quercia a profusione, umido, boschivo. Alacremente prende terreno, non si cura di benzoino e cuoio che mormorano la loro presenza. Fuori dalla strada conosciuta, Amouage costruisce un genere a sé come i due protagonisti si tolgono fuori dal tempo. “Robbie e Cecilia si trovavano al di là del presente, fuori dal tempo, privi di ricordi e di futuro”. Quasi esoterico, Fate trasuda mistero e minaccia; il castoreo nel fondo ricorda il guscio di una noce di pecan, suggerisce potenziale danno, controlla le morbidezze e le sorveglia.
Come il verde abito scorre svelando porzioni di corpo sotto le dita voraci di Robbie, Fate vira in uno smeraldo incandescente come la tentazione. È un tornado: polverizza gli altri Amouage rendendoli tutti minori, travalicando i paragoni. Nessun nome fu mai così azzeccato; Fate assume in sé i lati compositi, antitetici, paradossali, tragici e ineluttabili del Destino. Ci (s)veste, dandoci l’illusione di essere protagonisti, ma prendendo piacevolmente il sopravvento con una performance ineccepibile per sillage e durata, e senza il bisogno di urlare sotto il naso altrui ma seducendo con pacata maestosità.
Rubando ancora due righe a McEwan, con Fate sui polsi è “forte la sensazione di sentirsi al centro di una magia, di un’azione drammatica (…)” e si fluttua con “la prima vaga premonizione dell’imperscrutabilità del presente”.
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