Di diaboliche cose, misteri, colori e profumi: la gascromatografia di Halloween
Al contrario di quanto si pensi, Halloween non ha origini americane, ma è prettamente europea. La tradizione di festeggiare la vigilia di Ognissanti – in inglese All Hallows’ Eve, da cui Halloween contratto – ha origini celtiche.
Per i Celti l’anno nuovo iniziava il 1 novembre e nella notte del 31 ottobre si celebrava Samhain, ovvero la fine dell’estate. Era credenza comune che in quella notte le barriere tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliassero a tal punto da permettere ai defunti di tornare sulla Terra. Da qui la consuetudine di lasciare davanti alle porte delle abitazioni dei dolcetti, in modo da ingraziarsi le anime trapassate (l’odierno “trick or treat”, “dolcetto o scherzetto”) o di appendere lanterne ricavate nelle zucche per guidarne il cammino. Le derive consumistiche post-moderne con i loro party alcolici di dubbio gusto hanno stravolto e sporcato il ricco carnet culturale che sosta a questa festa portando la gente a dividersi in due fazioni: chi la odia e disprezza e chi invece l’attende con trepidazione e rispetto.
Indubbiamente esercita un fascino penetrante sia per gli uni che per gli altri; le connessioni con i remoti punti oscuri della Vita, là dove questa sfiora l’Eterna Dimenticata Oppositrice, la Morte, la rendono magnetica e accattivante. La torbida allure macabra di Halloween ci seduce grazie a colori, cibi, opere delle più diverse arti e sicuramente anche com profumi che sembrano calzarle a pennello.
Cromatismi olfattivi per il 31 Ottobre: viola Lutens, nero Goodsir, rosso Sorcinelli, arancio Kurkdjian.
(Senza) Testa: il mistero viola di Lutens
Il viola è avvolto da sempre nella superstizione (basti pensare a quanto sia temuto nell’ambiente televisivo); spesso lasciato in disparte nella tavolozza, è indissolubilmente legato alla liturgia cristiana che concerne il lutto. Viola è Vitriol d’Oeillet, opera cimiteriale di Serge Lutens del 2011. (Il nome è un piccolo mistero già di per sé: il richiamo alla massoneria e ai suoi grotteschi rituali di iniziazione è semplicemente un caso?)
Profumo vitreo, smunto ma appuntito come denti aguzzi: praticamente la condensazione olfattiva di Christopher Walken mentre impersona il Cavaliere Senza Testa ne Il Mistero di Sleeepy Hollow di Tim Burton. Vitriol d’Oeillet ha come il film un protagonista con il capo mozzato: il garofano. L’intento del Maestro è quello di presentare un fiore classico, triste per antonomasia svincolandolo da scontati agganci con la tradizione.
Deprivandolo di qualsiasi ambizione fiorita, Serge Lutens lo de-costruisce togliendogli le rosse corolle e imbalsamandolo in crinoline speziate (pepe, pepe rosa, noce moscata) a mo’ di impettito “personaggetto” ottocentesco ritratto in posa nella bara. Quindi gli buca le foglie con chiodi di garofano, che tagliano il naso. Tuttavia, pur senza testa, il Cavaliere attua lo stesso la sua vendetta nella ricerca continua del proprio capo; e anche il garofano, pur procedendo alla cieca sul destriero infuocato di paprika, trova la sua strada in un buio sentiero ammantato di violaciocca coperta da un sudario di giglio sfatto. Il molle drydown di ylang ammansisce il mostro (s)fiorito senza redimerlo. Capolavoro di efflazione cinerea, gotico e perfetto per i “poveri” malinconici mostri di Burton.
(Il) Cuore (Rivelatore): l’incubo noir di Naomi Goodsir
“Voi mi credete pazzo. I pazzi non sanno nulla. Ma avreste dovuto vedere me. Avreste dovuto vedere quanto saggiamente mi comportai, con quanta attenzione, con che prudenza, con che dissimulazione mi misi all’opera! Non fui mai più gentile verso il vecchio quanto durante l’intera settimana prima che lo uccidessi.”
Divenuto celeberrimo, Il cuore rivelatore (1843) è una pietra miliare nella feconda produzione di emozioni inquietanti di Edgar Allan Poe. Racconto nero, del nero più nero che esista, è la confessione allucinata di un omicidio di un vecchio resa da un anonimo. Il movente non è un ben precisato, ma sembra legato all’occhio vitreo, incombente e indagatore del vecchio che spaventa, esaspera e irrita l’assassino. Dopo aver tergiversato per sette notti – “E feci questo per sette lunghe notti, ogni notte proprio a mezzanotte, ma trovavo l’occhio sempre chiuso; e così era impossibile fare il lavoro”- l’assassino uccide il vecchio rovesciandogli addosso il letto e poi ne smembra il cadavere nascondendolo sotto le assi del pavimento. Ma alla presenza di ignari poliziotti chiamati dai vicini che hanno udito urla provenire dalla casa, l’omicida, prima calmo e sereno, inizierà ad avvertire dei battiti cardiaci provenire dal pavimento: in un crescendo delirante egli stesso, in preda alla psicosi e temendo di essere scoperto, rivelerà il misfatto e il luogo di sepoltura della vittima.
Studio sapiente del ”terrore” rivela le doti psicanalitiche ante litteram di Poe sondando i battenti sempre aperti della pazzia e l’abisso cupamente insondabile del senso di colpa; quasi come Naomi Goodsir, nel suo Nuit de Bakelite, perforò nel 2017 il sicuro appeal fiorito della tuberosa rovesciandole addosso un letto di cuoio, storace e artemisia. Nuit de Bakelite è una composizione sinistra; il verde vitreo che quasi infastidisce in incipit, viene aggredito minuto dopo minuto da una nota cuoiata che spia, incombe impaziente, non vuole aspettare l’ordine naturale delle cose. Dopo essersi accostata dietro le tende dell’artemisia, ammazza la tuberosa, inglobandola nella sua plastica pazzia e avvolgendola per nasconderla come un cadavere con un oscuro storace.
Ciò che rende eccezionale questa fragranza, come ben sapranno coloro che la possiedono, è il fatto di profumare anche fuori del sarcofago nero in cui viene venduta. Come una maledizione fuoriesce dalla busta, dalla carta, dal vetro stesso e spinge i suoi violenti battiti verde-talcati-muschiati in un folle e visionario richiamo che attraversa i materiali falciandoli. Tenaglia stordente, questo incubo firmato Naomi Goodsir si avvolge ai polsi e si insinua nella nostra testa per l’intera giornata costringendoci a strillare a gran voce a chi ci circonda e che fintamente finga di non sentirlo che ”Si! È lui, è qui! È Nuit de Bakelite!”.
(Pro) Fondo (rosso): il vampiro di Filippo Sorcinelli
Sul Bram Stoker Dracula di Coppola non si ammettono critiche: rimarrà indiscutibilmente la versione più spettacolare, visionaria, passionale ma anche cupa e orrorifica del romanzo capostipite della letteratura gotica. Un film che parteggia per il Principe delle Tenebre sia nella sua malinconica e disperata storia d’amore con Mina sia nell’esplosione di malvagità e forza demoniaca nel duello con Van Helsing. Con una perfezione che sfiora l’eccellenza Gary Oldman incarna il Conte riuscendo a rendere ogni sfumatura di un personaggio quanto mai ineffabile, di una complessità metafisica fors’anche al di là del Bene e del Male.
Spirito dannato che attraversa “gli oceani del tempo” per trovare l’amata, Dracul è Signore del Sangue al cui altare sacrifica la Vita stessa per una Notte Perenne di sete insaziabile. Sequenza clou che rimarrà negli annali cinematografici è quella in cui Dracula conversa con un incerto Jonathan (un Keanu Reeves volutamente dimesso e sbiadito); il Conte, ammantato di seta rossa con strascico chilometrico aiuta il giovane a farsi la barba e, di nascosto, succhia una goccia di sangue leccandola dal rasoio.
Nell’espressione di inesplicabile deviato piacere e nei singulti voraci che seguono all’atto sembra quasi di riuscire ad assaporare insieme a lui quell’ aroma metallico del sangue appena fuoriuscito. Esattamente ciò che esprime con mordace pignoleria il tenebroso della profumeria italiana Filippo Sorcinelli nel suo grandguignolesco but_not_today. L’incipit sfila le narici in un che di tagliente, balsamico, amarognolo e delicatamente salato. Si avverte la lama che striscia la carne aprendola e raccogliendo sangue fresco di un rossore intenso: l’effetto è affidato al garofano, sfilacciato, morente, come caduto e calpestato.
Le note metalliche di but_not_today vengono umettate poi di umori animalici, ma di belve come impagliate, non più vive eppure che si muovono spinte da forze oscure. Aprendo le fauci condensano vapore sul rasoio, coprendo qualsiasi possibilità di riflesso. Vi è in questa fase una straordinaria e completa metamorfosi: il sangue coagula in un rigurgito di suede, maestoso, vellutato, lugubre ma malvagiamente seduttivo.
In un battito di ciglia noi stessi ci trasformiamo in Dracul, traendo un’immensa soddisfazione nell’aspirare pian piano il vorticoso mutare della fragranza. Anche un vampiro ha memorie, ricordi che abbracciano millenni: dalle onde del tempo appaiono immagini immacolate e monde da peccato. L’adorata Mina emerge aggraziata su uno stelo virgineo di giglio cui un gelsomino notturno fornisce maturi afflati sessuali. Il sangue ritorna come leitmotiv nei petali di un bouquet poggiato su una bara, che ha perso carnalità a fronte di un torvo appesantirsi in legacci cuoiati, odore di pelo selvatico e di perdita delle regole naturali.
Il drydown potrebbe essere la colonna olfattiva dell’incontro fra il Conte in sembianze d’uomo e Mina: lui, con i lunghi capelli corvini, gli occhiali e le lunghe mani guantate si avvinghia alla pallida e scossa ragazza; finalmente possono toccarsi, amoreggiando nel buio; attorniati da mille candele accese e dal passeggiare felpato di lupi bianchi vengono avvolti da echi incensati – di cui Sorcinelli possiede l’arcano segreto – e vivono un momento d’Amore Eterno prima della ricaduta nell’orrore.
(Il) Drydown (giocoso, almeno in apparenza): la zucca di Francis Kurkdjian
L’abbiamo ascoltata rabbrividendo con le bocche aperte, magari nascosti sotto il lembo di un lenzuolo e appoggiati al braccio confortevole di mamma e papà. I fratelli Grimm hanno decisamente calcato la mano in Hänsel e Gretel! In una prospettiva moderna i temi trattati risultano non poco violenti e anche “malati” fino a sfiorare la perversione: abbandono di minore reiterato, cannibalismo e infanti che compiono un omicidio; un plot pauroso ai limiti dello splatter non certo adatto ai bambini cui è indirizzato. Esattamente come la casetta costruita con i dolci della Strega è uno specchietto per allodole pernicioso e malefico, così il mitico Absolue pour le Soir di Maison Francis Kurkdjian è un profumo che trae in inganno i sensi. Il liquido dal color di zucca matura ci abbindola in primis con una nota rotonda, armoniosa, potente e realistica di miele millefiori “nostrano”, raccolto dall’apicoltore di fiducia con metodi artigianali.
Ma qualcosa non torna: innocenti come i due bimbi nella fiaba affondiamo anziché le mani il naso, ignari della densa vischiosità che sta per carpirci. La Strega fuoriesce sotto le sembianze di una innocua vecchina: il cumino ci sbeffeggia con un parterre di connotazioni speziate. Con tocco magico, però compare una rosa vermiglia che ci trascina con voce roca e petulante. Il bouquet così arieggiato cambia ancora: le pareti dell’interno non sono più decorate di dolci, ma di gabbie in legno di sandalo, lattee ma pur sempre gabbie che hanno trattenuto delle prede. C’è un forte odore di paura e… urina: i poveri bambini di cui la Strega si nutre hanno lasciato tracce inequivocabili della loro presenza.
L’indolicità di Absolue pour le Soir è torbida, pesante, raggiunta con ampie dosi di benzoino e cedro; ti rende inconsapevolmente prigioniero mettendoti sotto chiave ancora grondante miele. Dopodiché non hai scampo: ogni sera ti tasteranno le dita per vedere se stai ingrassando a puntino per essere mangiato; ma nessuna Gretel interverrà a buttare la megera nel forno: Absolue di Maison Francis Kurkdjian è un incantesimo senza fine di cui diventiamo vittime e carnefici.
Sceglietevi un colore profumato mercoledì 31 ottobre e indossatelo: forse scamperete a terribili ripicche demoniache o forse… no!
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