Cedro di Diamante, Mandarino di Sicilia, Bergamotto di Calabria. Perris firma un’ode all’Italia
Gianluca Perris, direttore creativo dell’omonimo brand, con le sue collezioni ha esplorato le bellezze di mezzo mondo per consentirci di viaggiare con i nostri nasi e sognare di lande lontane. Scegliendo con dovizia e passione i più rari e pregiati ingredienti, come un Indiana Jones dell’olfatto ci ha consegnato creazioni che per la gran parte sono già dei classici: basti pensare a Ylang Ylang Nosy Be, a Santal du Pacifique o ancora alla splendida Rose de Taif.
Senza peccare di patriottismo è pur vero che fra le beltà della Terra l’Italia certamente si trovi ai primi posti; non avrebbe dunque potuto tardare a lungo il rientro olfattivo in patria il cacciatore di aromi preziosi Perris che, infatti, nel 2018 ha dato vita alla Italy Collection e alla triade Cedro di Diamante, Bergamotto di Calabria, Mandarino di Sicilia: un poetico, emozionante Grand Tour sensoriale nel Bel Pease, per descrivere ed esaltare l’essenza solare di alcuni fra i nostri frutti più rappresentativi e cioè il cedro della varietà Diamante, il bergamotto calabro e il mandarino siciliano.

Il mare guantato di un blu innervato di verde lambisce le italiche coste, gareggiando con il sole a donare alla nostra penisola quello che il poeta inglese Lord Byron ben definì “il fatal dono della bellezza”; eppure, noi italiani stessi spesso ignoriamo le perle nascoste del suolo natío: lasciamo allora che Perris, in collaborazione con Luca Maffei, ci conduca per naso a scoprire un gioiello – di nome e di fatto – veramente raro e speciale.
Approdiamo nella punta dello Stivale, in Calabria; veniamo accolti da un clima accogliente, un orizzonte cristallino e un paesaggio puro e incontaminato. La natura è selvaggia e misteriosa e ci invita ad affinare i sensi. Armati di curiosità, spingiamoci adesso in provincia di Cosenza: qui, in località Diamante, si trova la cultivar di cedro migliore al mondo per la qualità del frutto che produce.
Il cedro “liscio” di Diamante è una mutazione della Citrus medica autoctona; pianta spinosa di difficile coltivazione, richiede molte cure: innanzitutto va innestata sull’arancia amara o su di una talea e per fruttificare abbisogna di una laboriosa potatura. Il terreno, tassativamente argilloso, viene zappato ginocchioni, stando bene attenti a non ferirsi con gli spini puntuti. Il mese della raccolta è ottobre, quando i cedri ancora sono di un verde camaleontico: così deve essere, visto che gran parte della produzione sarà pulita e spedita in Toscana per la “canditura”. Il cedro di Diamante è rinomato proprio per la buccia molto alta (l’albedo), dolce da mangiare.
Oltre ai canditi, un altro prodotto tipico calabrese che sfrutta questa ingrediente è il “panicello”, fatto con la foglia del cedro riempita con uva zibibbo e cubetti di buccia di cedro. Questa delizia tanto particolare – e, secondo la tradizione, di buon auspicio – è anche denominata “panicelli di D’Annunzio”: il Vate li cita infatti nell’opera “La Leda senza cigno”, descrivendo con la sua maestria poetica l’atto dell’offrirli a una delle sue amanti.
Con altrettanta grazia e fascinoso tocco, in Cedro di Diamante Perris e Maffei ritraggono l’agrume prezioso scrivendone un’ode che racconta il frutto in tutte le sue sfaccettature sensoriali, da quelle cromatiche a quelle gusto-olfattive. Si delinea così un profilo agrumato/aromatico estremamente vivido e moderno, in cui il cedro si incastona come un vero diamante in una vibrante cesellatura di fiori e spezie. L’envol affilato si serve dell’impronta delicatamente citrica della verbena per smerigliare di riflessi madreperlacei il protagonista; questo è colto associando in un mosaico multicolore il lime nel suo verde brivido esotico e il limone con il giallo luminoso del Mediterraneo. Il cedro appare come un trompe l’oeil: essenziale, sottile, un fascio abbacinante con lieve accenno poudre donato dall’iris che si mantiene in sordina, vagheggiando aereo. A conferire dinamicità e suggerendo immagini di pasticcerie vintage concorrono in quadriglia pepe rosa, zenzero, cardamomo e pepe Sichuan: da algido e muto, il cedro si scalda, mostra un’indulgente ombra lussuriosa che ricorda molto le parole di D’Annunzio (“[…] le dita s’aprono e si tingono di sugo giallo, si ungono di un non so che unguento solare, […] con un che di luminoso nel bruno , con un sapore che ci delizia prima di essere assaporati…”).
Dal tagliente incipit si approda a un confortevole ricamo muschiato che ci lega i polsi come morbido satin: l’evoluzione della fragranza la rende spendibile con nonchalance sin dall’oro del mattino, quando necessitiamo di un frizzante stimolo per affrontare le calura estiva, che nel crepuscolo tiepidamente tremulo d’agosto, per riscaldare quel tanto che basta la pelle.
La seconda tappa del viaggio e la seconda strofa della poesia italiana di Perris si appuntano sempre in Calabria, ma dispiegandosi lungo i 100 km di Costa che vanno da Reggio Calabria a Gioiosa Ionica. Qui, gli agricoltori si stanno focalizzando negli ultimi anni sulla produzione del bergamotto calabro dop; il clima mite ha da sempre favorito la produzione di questo agrume, basti pensare che le prime testimonianze sull’olio essenziale di bergamotto appaiono già nel 1700 e l’Italia, con i frutteti calabresi, ne copre il 90% della produzione globale, con esportazioni in tutto il mondo. Si pensa che il bergamotto (dal turco bey-armudu, “pero del Signore”) sia la risultante di un incrocio fra l’arancio amaro e la limetta; con il suo colore che va dal verde al giallo intenso, quando è maturo ricorda per certi versi il limone ma è più acidulo e aromatico.
Per celebrare come merita il suo prezioso olio essenziale, Perris gli dedica Bergamotto di Calabria, avvalendosi ancora una volta dell’expertise di Luca Maffei; il duo arpeggia una poesia più ritmata e vivace rispetto a Cedro di Diamante, plasmando un esperidato/floreale, fresco e speziato con sottotono erbaceo-legnoso.
In questa creazione l’agrume troneggia fin dalle prime terzine, pienamente maturo, turgido e pungente; la sua è una sferzata d’energia simile a una cascatella d’acqua sulla pelle assetata. Ma la sua padronanza della scena deve molto ai comprimari scelti che, con grazia di foscoliana memoria, sublimano l’incanto agrumato con molteplici artifizi retorici. Il petit grain del Paraguay sottolinea con anafora la vena erbacea echeggiando aloni smeraldo dietro il risplendente giallo. Viene invece delegata all’intensità del neroli il compito di legare con un persistente chiasmo il fiore d’arancio, fine e armonioso, al gelsomino, nel suo muto danzare abbracciato a polvere d’iris.
Ad amplificare lo squillante sillage accorrono in iperbole l’argenteo vetiver di Haiti, schietto e deciso in enjambement con la docile ferma corposità del sandalo. Il poemetto vira dalle corde della classicità della tradizione sul tocco più moderno e pret-à-porter con il morbido climax discendente del muschio; la fragranza ha una performance elegante e determinata, appagando appieno i nasi amanti del “fresco e pulito” ma anche quelli che gradiscono un risvolto profondamente emotivo e soffuso.
Dalla Calabria trasferiamoci ora in un’altra regione rigogliosa anch’essa per sapori e aromi, la Sicilia; dalla meravigliosa isola arriva il terzo frutto che ha ispirato Perris per la sua Italy Collection: il mandarino siciliano, “il più amato in Europa, per dolcezza e profumi”, come afferma Alessandro Chiarelli, presidente di Coldiretti Sicilia. A rendere speciali le varietà siciliane di questo agrume è proprio il fatto che non necessitino di zuccheri raffinati perché dotate di una dolcezza naturale. La cultivar è caratterizzata da una buccia colore arancio finemente punteggiata, da una polpa arancio-paglierino e un aroma netto, accentuato, veramente inconfondibile. Perris – stavolta in solitaria – vola in Piazza Armerina a trarre spunti dagli splendidi mosaici bizantini della Villa romana del Casale; l’intento è quello di costruire il suo Mandarino di Sicilia servendosi di numerose tessere olfattive multidimensionali.
Unendo archeologia e botanica in un unico guizzo creativo, vengono estrapolate le caratteristiche aromatiche delle tre varietà del frutto – Avana, Cleopatra e il celebre e ricercato Tardivo di Cianculli, tipicamente nostrano – per innestarle l’una sull’altra in un disegno musivo. Il lavoro è certosino, puntiglioso; spruzzando questa fragranza si ha come l’impressione di aver spremuto fra le dita la buccia di un vero mandarino siciliano, non uno stucchevole mandarino qualunque. Ciò avviene grazie all’assemblaggio perfetto delle note del parterre: con sagace maestria, per la testa della fragranza Perris si affida al Tardivo di Cianculli e al suo aroma agrodolce; con la triangolazione ben assestata di mandarino verde, arancia amara e mandarino giallo, Perris non punta quindi alla resa del succo, quanto piuttosto della buccia che pare di avvertire tattilmente, sottile e lucida. Della qualità Avana invece viene imitato lo spicchio ben sagomato e succoso: ed è il geranio deputato a innervare di brezza mediterranea l’eco fruttata così evocata. Una piccola tessera di gelsomino funge da raccordo floreale con il Cleopatra, di cui si valorizza il lato estetico con il raffinato veleggiare del fiore d’arancio.
Ora non resta che osservare da lontano: il mandarino è pressoché perfetto, ricreato tout court come natura comanda. Come un tocco di sole sullo spirito, il sillage si propaga irraggiando con diafana eppur tenace aura; il solido fondo di cedro, ambra e muschio garantisce uno spessore inaspettato e consentendo quindi una persistenza ottimale. Mandarino di Sicilia è una fragranza che tonifica il corpo ma anche rilassa la mente con la sua eccezionale sensazione di benessere
La triade rende impossibile preferire una fragranza all’altra: i tre profumi viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, come riflessi dorati di un unico fascio di luce. Ad accrescerne il valore vi è quel languore che, dopo averli annusati, rimane sulla pelle e nell’animo, una spinta propulsiva a partire e visitare i luoghi colmi di capolavori naturali che Perris ci ha svelato instillando in noi quell’amor patrio un po’ troppo sopito. E allora, sia usando profumi che le parole, ricordiamoci di omaggiarla anche noi, lei, la nostra Terra di sì fatale beltà.
“Italia”
Sono un poeta
Un grido umanime
Sono un grumo di sogni
Sono un frutto
D’innumerevoli contrasti d’innesti
Maturato in una serra
Ma il tuo popolo è portato
Dalla stessa terra
Che mi porta
Italia
E in questa uniforme
Di tuo soldato
Mi riposo
Come fosse la culla
Di mio padre
Giuseppe Ungaretti
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Bellissima recensione, un viaggio nell’Italia assolata e ricca di profumi, grazie ❤️