Canne al vento (Grazia Deledda) incontra la sacralità olfattiva di Boeli (Sandalia)
Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi (…) nonostante la loro assoluta mancanza di cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita. Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano (…).
Grazia Deledda
La Sardegna è a tutt’oggi uno dei fiori all’occhiello della cultura italiana, così densa di paesaggi differenti, tanto paradisiaca sulle coste quanto aspra nell’entroterra, un pastiche culturale le cui radici si perdono nella memoria del tempo. Un’isola che orgogliosamente difende la propria unicità fatta di lingue autonome e culture millenarie che affondano nell’animismo precristiano le dita ossute della propria matrice identitaria.
I paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore, i monticoli sopra i paesetti e in fondo la nuvola color malva e oro delle montagne Nuoresi.
Un tale scrigno di tesori non poteva che confluire nella profumeria artistica e chi meglio di una Casa nata in quest’isola antichissima poteva essere in grado di condensare in tele olfattive la storia, le tradizioni e i misteri tramandati della Sardegna. Nascono così le sei eaux de parfum di Sandalia che compongono il viaggio olfattivo più rappresentativo che si possa trovare di un’isola tra le più antiche del mondo.
Questo è il racconto di Boeli, una fragranza che è custode del tempo e dei cicli infiniti della vita.
Nel centro della Sardegna c’è Ozieri ed è qui che possiamo ancora sentire gli echi dei nostri popoli antichi, gli uomini e le donne di una Sardegna prenuragica di epoca neolitica, 4000 anni prima di Cristo. Echi che ancora viaggiano di luogo in luogo tra le terre del Gennargentu, sino alle coste mediterranee, portando il soffio dei riti ancestrali per rinforzare i legami con la terra e legare l’essere umano al ciclo infinito di vita e morte, rappresentato dalla Madre Mediterranea e dai numerosi segni su pietra sparsi in tutto il territorio sardo.
Un legame che molti di noi stanno tristemente perdendo e che per alcuni è ancora linfa vitale. Di questa ritualità, snaturata in parte con l’avvento delle religioni monoteiste, e della naturale labilità del confine tra umano e sovrumano è delicatamente intriso Canne al vento, un capolavoro della letteratura del ‘900 che andrebbe letto d’un fiato. Uscito nel 1913 è forse il libro simbolo di Grazia Deledda, a tutt’oggi unica donna italiana insignita del premio Nobel per la Letteratura nel 1926, che della sua terra ha saputo lasciare tracce indelebili e nitidissime di paesaggi e tradizioni che scandiscono i giorni duri degli umani e degli esseri magici della notte.
Era il sospiro delle canne e la voce sempre più chiara del fiume: ma era soprattutto un soffio, un ansito misterioso che pareva uscire dalla terra stessa; sì, la giornata dell’uomo lavoratore era finita, ma cominciava la vita fantastica dei folletti, delle fate, degli spiriti erranti.
Vi si narra la storia delle sorelle Pintor e del devoto servo Efix in una terra che sente i primi rumori del cambiamento dal continente, ma del quale ancora non è toccato, tenacemente avvinghiato ai ritmi della terra, delle stagioni e di una ritualità dove la devozione cattolica si fonde con l’animismo precristiano.
Le Pintor, donne indurite dalla vita grama dei sogni mai realizzati e dall’ombra pesante di un alto lignaggio che è ormai sdrucito ricordo, vivono pressoché recluse nel palazzo di famiglia accanto al cimitero, sgretolandosi come i pezzi del palazzo stesso che silenziosamente sembra sbriciolarsi muto sotto il sole piatto dell’entroterra sardo.
Efix è il loro tramite col mondo e l’unico che provvede alla loro cura. Ma Efix porta il silenzioso fardello di una colpa gravissima quanto necessaria, che ha segnato per sempre il declino della famiglia Pintor. Un silenzio ostinato e intriso di amorevole pietà per le sorelle padrone, ma che verrà incrinato dall’arrivo imprevisto di un nipote delle Pintor dal continente. Da qui la ruota infinita della vita e della morte farà il suo corso, muovendosi lieve tra i canneti frustati dal vento, nelle notti stellate popolate dai folletti ed Efix non potrà far altro che piegarvisi affinché la sua espiazione divenga l’inizio di un nuovo ciclo di rinascita.
– “Perché la sorte ci stronca così, come canne?”
– “Sì”, egli disse allora, “siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.”
– “Sì, va bene: ma perché questa sorte?”
– “E ilvento, perché? Dio solo lo sa.”
– “Sia fatta allora la sua volontà”, ella disse chinando la testa sul petto e vedendola così piegata, così vecchia e triste, Efix si sentì quasi un forte.
Canne al vento è una storia di colpa e redenzione dove echeggia potente il legame con la terra aspra battuta dal sole cocente e dal vento che porta il lontano odore del mare. La potenza della natura è forse la più pervasiva presenza tra le pagine eccezionali di Grazia Deledda, un legame che è linfa tanto quanto il sangue che scorre nelle vene e che è vivo ancor oggi.
Efix è la Natura stessa, la sua terra lo pervade e giunge a noi in espressione sovrumana attraverso Boeli, eau de parfum di Sandalia, che ne trasforma in note odorose il legame atavico con la terra.
Arriva immediato e rapido l’odore del coriandolo, fragrante e dolciastro, privato dei sentori forse meno gradevoli e armonizzato magnificamente con noce moscata che conferisce all’apertura un’anima immediatamente calda. Piccole note verdi adagiano la composizione al suolo, senza far toccare la terra brulla, ma tenendola in sospensione millimetrica sulle punte vegetali arse dal sole, quindi oltre il verde fresco e più vicino all’erba che sta seccandosi.
La testa di Boeli è dunque fortemente terpenica, morbida e speziata e quasi confonde l’olfatto in uno smarrimento geografico che è ouverture congeniale per una terra che da sempre è plasmata proprio da commistioni culturali profonde.
Una gran pace regnava su quel villaggio improvvisato, e le note della fisarmonica e le voci e le risate entro le capanne parevano lontane. Qua e là davanti ai piccoli fuochi accesi lungo i muri si curvava la figura nera di qualche donna intenta a cucinare.
Un’apertura intima e avvolgente che richiama in lontananza echi liturgici e abitudini domestiche millenarie come gli atti ripetuti amorevoli delle donne di Canne al vento, nella cura dei cari e della casa. Un’apertura lunga che solo dopo molti minuti lascia trasparire i primi tratti di un cuore più femmineo. Il calore speziato sembra sciogliersi sulle vesti odorose delle donne pronte per la festa del Remedio.
La festa durava nove giorni di cui gli ultimi tre diventavano un ballo tondo continuo accompagnato da suoni e canti.
Nei corpetti rossi strizzati e sulle pesanti gonne nere, il candore immacolato del gelsomino pare declamare la sua purezza. Non c’è traccia di malizia, ma un’idea iconica di femminilità che sembra sollevata dalle ingiurie del tempo. Il gelsomino è qui nel suo stato quasi angelico, timido e presente, come la delicatezza degli sguardi furtivi delle giovani alla festa, davanti al selciato della chiesa. Ritroviamo le dee della terra e gli dei del cielo stillati in note che condensano la Sardegna e il suo mondo complesso, composito e mutevole in questo cuore apparentemente semplice, ma capace di cristallizzare il momento perfetto della ritualità antica, quando tutto è inizio e cambiamento.
Efix la guarda e sente, come sempre davanti a questa figura che s’affaccia dall’oscurità di un passato senza limiti, un capogiro come se fosse egli stesso sospeso in un vuoto nero misterioso… Gli sembra di ricordare una vita anteriore, remotissima. Gli sembra che tutto intorno a lui si animi, ma d’una vita fantastica di leggenda.
Ed è qui che il gelsomino viene impolverato dalle note più burrose dell’iris. Ricco ed elegante il tratteggio olfattivo riporta ai sentori di una divinità ieratica, pacifica nel suo far scorrere il ciclo di vita e morte, di rinnovamento e distruzione. C’è tutto il ciclo della natura in questo cuore che odora di bucato insaponato e di pelle delicata di giovane fanciulla, di immagine sacra tutta ori e intarsi che osserva severa e di tessuti pesanti che sfiorano il sentiero polveroso. L’iris declama un’eleganza che non è ascrivibile ad alcun dettame, che attinge il proprio magnetismo direttamente dal sovrumano e lentamente assurge evidente la matrice sacra della composizione, arrivando al climax finale delle note di fondo. La levigatezza dell’ambra si fonde al muschio riportando alla forma circolare del ciclo della vita e ricongiungendosi idealmente con la morbidezza delle note di testa. I fiori del cuore sono scaldati da note più legnose e balsamiche, senza perdere in morbidezza.
Si ritrova, qui, un vago accenno al maschile e a quelle divinità del cielo che compongono un tutt’uno con le divinità della terra. Note di legno di sandalo richiamano gli antichi bracieri dai quali fumi aromatici e dolci si levavano a ringraziare del raccolto, a scongiurare la malasorte in una commistione perfetta di antico e moderno. Nel fondo di Boeli si sentono i clangori metallici dei sonagli, il suono cupo dei campanacci e i piedi strisciati nella danza sino al mattino, quando i fuochi non sono che braci morenti, il cielo trascolora nei toni del grigio che precede l’alba e un nuovo giorno comincia portandosi addosso il profumo della vaniglia che avvolge in una nuvola zuccherina il sentore del legno di sandalo.
Portò via la bisaccia, colse un gelsomino dalla siepe e si volse in giro a guardare: e tutta la valle gli parve bianca e dolce come il gelsomino. E tutto era silenzio: i fantasmi s’erano ritirati dietro il velo dell’alba e anche l’acqua mormorava più lieve come per lasciar meglio risonare il passo di Efix giù per il sentiero; solo le foglie delle canne si movevano sopra il ciglione, dritte rigide come spade che s’arrotavano sul metallo del cielo.
– “Efix, addio, Efix addio.”
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