Baptême du Feu. Pan di zenzero per Monsieur Lutens
Serge Lutens ama stupire.
Lo fa in modo spiazzante, che non ammette repliche.
É il suo stile di sempre, fin da quando ci lasciava perplessi con i make up onirici del suo periodo in Shiseido. Per Shiseido crea la sua prima fragranza, Nombre Noir, un orientale legnoso del 1982, dove inserisce una inusuale nota di palissandro addolcita da miele, fava tonka e benzoino. Già da allora si intravvedeva la sua tendenza verso il cupo e l’inafferrabile che ha sempre costituito la sua firma, sia nei packaging sia nel naming.
Si diverte a muoversi nell’ambiguità dei nomi delle sue creature in chiara antitesi, a volte, con il senso segreto dei jus. Egli adora destabilizzare il suo pubblico con creazioni che contengono una discrasia tra il nome e la composizione della fragranza.
Le sue opere contengono tutte un coagulo di aggressività, sapientemente diluito e adeguatamente mimetizzato con note fiorite, che trapela dalla denominazione insolita e bizzarra delle fragranze. Ne sono un chiaro esempio, tra le altre, Datura Noir (2001), dove ricrea l’aroma del bianco, narcotico fiore maledetto con note innocenti di osmanto e mandorla, Vitriol d’Oeillet (2011), nel quale il timido e innocuo garofano viene talmente spinto nella sua facette poivre dal pepe rosa e dalla paprika, così da risultare oltremodo pungente, e La Vierge de Fer (2013), dove l’orrida crudeltà dello strumento di tortura viene placata da un giglio purissimo.
Serge Lutens ha raccontato attraverso le sue fragranze alcuni episodi della sua vita, ricordando la sua infanzia di bambino solo, dando vita a sinfonie mai suonate imperniate sull’incenso, con L’Orpheline (2014), dove la resina si contende la primazia con il muschio animale, e La Religieuse (2015), dove l’incenso, il muschio e lo zibetto si legano a un delicato gelsomino.
Nei suoi ultimi profumi Lutens sembra aver abbandonato la strada delle rimembranze, come anche la prima strada battuta, quella che conduceva all’ambrato oriente. Elaborati arabeschi di mirabile bellezza che prendono il nome di Arabie, À La Nuit, Ambre Sultan, Douce Amère, La Myrrhe, Muscs Koublai Khan, per citarne solo alcuni. La nuova ossessione di Lutens sembra ora essere il fuoco, come dimostrano L’Incendiaire e Cracheuse de Flammes, entrambi del 2015, facenti parte della Section d’Or, nelle quali Lutens richiama chiaramente il concetto della fiamma, che, afferma, investe la sua stessa persona. “Non è il profumo che brucia, sono io che desidero bruciare la noia che trasuda dalla profumeria. Chi brucia nel profumo, sono io!”
Ultimo capitolo della saga del fuoco è Baptême du Feu, e ancora il creatore francese ci stupisce.
Il nome del profumo rappresenta un concetto molto forte, una estrema prova da superare o superata, tuttavia il jus è soffice, e molto “urbano”. Serge Lutens posiziona questa nuova fragranza tra i “gourmand” e, per certe sue sfumature rientra perfettamente in questa categoria, tuttavia non si tratta di un gourmand pieno e goloso, bensì un garbato e inaspettato orientale con toni gioiosi di pan di zenzero.
Ecco, non più il creatore che ascolta i suoi ricordi d’infanzia e li trasforma in fragranze inesplicabili e torbide, non più il creativo che ci lascia interdetti con il lancio di profumi-non-profumi, acque non fresche, le Eaux, divertissement dell’autore che ha giocato con formulazione più leggere, meno aggressive ma di grande impatto, come Eau de Serge Lutens (2009), Eau Froide (2011), Laine de Verre (2014) e Eau de Paille (2016), non più il Naso che ricorda i suoi anni in Marocco e che distilla essenze resinose e dense, bensì un maturo signore che sorseggia un tè, accompagnato da dolci biscottini a forma di omino, tipici della cultura inglese at five p.m.
Un’incursione nella sala da tè londinese, Monsieur l’aveva già fatta con Five O’Clock au Gingembre (2008), profumo speziato con note di tè, bergamotto, zenzero, cannella, cacao, ambra, patchouli e pepe. In Baptême du Feu tuttavia vi è una contrazione della piramide, che in questo jus sprizza in apertura un pacato succo di mandarino, per poi adagiarsi mollemente su sentori golosi di pan di zenzero, note talcate, castoreum, osmanto e legni.
Il tono di questa fragranza è misurato, tuttavia mai perfettamente cristallino: un’ombra la percorre tutta, quasi una nota fumosa che tenta di armonizzarsi con la drammaticità del concetto espresso dal nome. Anche il frizzante mandarino viene sedato dalle note talcate, accordandosi alla perfezione con il côté dolce e appena piccante dello zenzero.
Come tutte le opere del genio Lutens, anche Baptême du Feu possiede un’allure di mistero, un quid non dichiarato, un che di allusivo. L’artista di Lille non svelerà mai da dove sia cominciato lo studio per la creazione, il massimo che può regalarci sono queste parole, che ne accompagnano il lancio: “Le mie emozioni sono fluide. Come una cera versata in uno stampo, esse determinano ciò che mi seduce, come questo cuore di pan di zenzero.”
Manca la nota “tè”, ben presente in Five O’Clock au Gingembre, ma immaginiamo che una leggera voluta di vapore si alzi da una tazza in sottile porcellana bone china, davanti a Monsieur, mentre il suo sguardo imperscrutabile vaga sulla città avvolta dall’eterna nebbiolina, che tutto accoglie dentro di sé, ovattata, premurosa di offrire il pretesto per stare un po’ da soli a mettere ordine nei pensieri. Monsieur ci guarda, mordicchiando negligentemente un omino di pan di zenzero, con quel suo sguardo enigmatico, e sembra dirci “Non saprete mai perchè questo mio jus rosa cupo sia un baptême du feu… ed ora, non disturbate il mio te delle cinque, s’il vous plaït”.
Baptême du Feu si presenta nel raffinatissimo flacone slanciato, signature della Maison, con l’etichetta nera che contraddistingue le alte concentrazioni della collezione, che custodisce 50 ml di eau de parfum di un insolito colore rosa malva scuro.
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È vero lui è un genio. Bapteme du Feu è l’ultimo suo capolavoro. In attesa del prossimo.
Dalla review ho capito chi è il naso, ma del profumo ne so quanto prima.