La supernova Antares (In Astra) irradia talento come le stelle di A Star is Born 2018
In Astra è un brand di profumeria nuovo di zecca, in nuce dotato di una peculiarità non trascurabile: l’esser nato in uno degli anni peggiori che l’Alta profumeria abbia mai visto, il 2020. Anzi, l’esordio sulle mouillette del marchio creato da Fabiola Bardelli in coppia con sua sorella Sofia, Naso uscito dal prestigioso Grasse Institute of Perfumery (GIP) – è datato la primavera scorsa, proprio nel mezzo dell’uragano pandemico; allora il settore cominciava ad accusare i primi colpi di quell’inflessione economica che oggi emana il suo non piacevole riverbero sull’intero comparto Beauty.

Un curioso trait d’union unisce dunque In Astra dalla modalità d’esordio, con quel collasso gravitazionale da cui i corpi celesti prendono vita. Un segno premonitore e un augurio: uno dei più celebri detti latini non recita forse ”Per Aspera ad Astra” (“attraverso le difficoltà alle stelle”)? Di fatto questo è anche l’auspicio che la fondatrice di In Astra sottintende nel suo manifesto artistico.
La magnetica voce dell’antica saggezza si propaga fino a noi, unendo l’alveo genetico della collezione In Astra (astronomia e astrologia) all’universo sconfinato dell’arte profumiera. Le fragranze create da Sofia Bardelli, sotto la direzione artistica di Fabiola – Antares, Betelgeuse e Mismar – sono trasposizioni olfattive delle stelle di cui portano il nome, jus di siderale luccicanza ed eterea compattezza, pensati per spingerci con l’immaginazione nelle galassie, nanostrutture olfattive per alleggerire l’animo dalla gravità del contingente.

Fabiola e Sofia Bardelli puntano a instaurare un ideale legame tra “l’effimero del profumo e l’eternità apparente degli astri”; annusando le loro creazioni ciò si concretizza in una polimorfica nebulosa composta da un talento ispirato e tenace intraprendenza, nonché una giusta commistione di ingredienti selezionati, scienza e suggestione romantica.
I fattori fisici che portano alla nascita di una stella in senso stretto sono molteplici e piuttosto intricati per chi non mastichi la materia; basta però compiere un balzo in campo artistico e l’intero meccanismo, per magia, è a portata d’intuito. Non è una coincidenza che nel lessico moderno i personaggi del cinema e della musica siano appellati “Star”; l’iter di ascesa, esplosione e tramonto sidereo risulta il vademecum antesignano di qualsiasi aspirante abitatore dello Star System: dura lex, sed lex. Il tema è bollente proprio come un nucleo cosmico, tanto che Hollywood, catalizzatrice per eccellenza di nebulose oniriche, masse d’ambizione e temperamenti instabili, se ne rese ben presto conto.
È del 1932 il melodramma di George Cukor “What price Hollywood?” (A che prezzo Hollywood?) in cui per la prima volta, la Mecca del Cinema collassa su stessa, mettendo in discussione le contraddizioni che legano gli attori agli ingranaggi del successo. La trama è semplice: Mary è una cameriera che aspira alla carriera d’attrice. Il suo sogno si realizza quando una sera incontra Max, un giovane cineasta di talento, che fa di lei una vera star. Ma quanto più Mary diventa famosa, tanto più la carriera del suo pigmalione frana, oberata dal vizio dell’alcol.
Questo canovaccio diverrà un vero e proprio archetipo e infatti, seguiranno ben quattro versioni con il nuovo titolo “A Star is Born”. Nel 1937 quella dimessa e cinica di Wellman; il mitico autoremake di Cukor del 1954 con Judy Gardland – in forma strepitosa – e un mellifluo James Mason; è invece del 1976 la prima modifica alla trama, operata da Franck Pierson che sposta nel mondo del rock i protagonisti, qui interpretati da Barbra Streisand e Kris Kristofferson (che pretesero di cantare live nelle scene musicali). E siamo a tre…
Manca l’ultima supergigante, esplosa di recente e perciò luminosissima, di una luce infuocata rosso vibrante alla stregua di Antares, cuore dello Scorpione: anno 2018, Bradley Cooper, all’esordio come regista, ingaggia nientedimeno che Stefani Joanne Angelina Germanotta, ossia Lady Gaga, e si assicura un posto nel firmamento di Hollywood. Cooper occhieggia molto ai predecessori, ma sia nella direzione che nella recitazione (egli è anche interprete dello sfortunato protagonista maschile, Jackson Maine) aggiorna gli stilemi e l’atmosfera adattandoli ai canoni dello showbiz odierno. Forte di uno spontaneo, accorato e palpabile affiatamento fra l’ex American Sniper e la più trasformista fra le voci ora in voga, A Star is Born 2018 si è meritato un successo stratosferico…o per meglio dire, ultrastellare.

Antares e Jackson Maine: nascita, vita ed epilogo di una Star
“Il talento è dappertutto […]. Tutti hanno talento per una cosa o l’altra, ma avere qualcosa da dire, e dirla in modo che la gente ti ascolti, è un’altra faccenda”
(Jackson Maine/Bradley Cooper in A Star is Born 2018)
Antares – prima eau de parfum ad accendersi nella neonata galassia di In Astra – ha molto da trasmettere e quel che più conta è che, come ogni vera Star che si rispetti, la sua storia è d’immediata fruibilità a livello strutturale per palati analitici ma ancor più a livello empatico per estatici appassionati. L’intrigante fluido prende il nome dalla supergigante rossa che costituisce il cuore della costellazione dello Scorpione. L’astro in questione è uno dei più grandi esistenti, con un diametro che è circa 850 volte quello del Sole.
Vista la sua notevole massa, Cor Scorpii – come è anche conosciuta – è destinata ad esplodere in una supernova entro un milione di anni. Ma per ora, con il suo sfolgorio rosso-arancio, spicca fra le sorelle che la circondano, ben visibile a occhio nudo e punto di riferimento del cielo. Insomma, una bollente e sfavillante superstar che si gode infuocata la sua momentanea celebrità. Da qui si dipana, è il caso di dirlo, il fil rouge che, esattamente come in una costellazione, accomuna l’astro Antares all’omonimo profumo di In Astra nonché al protagonista di A Star is Born 2018, Jackson Maine: un vento stellare intensissimo si propaga dai tre, una forza che non si arrende, lì ferma, apparentemente sospesa ma in continua evoluzione.
Una scintilla frizzante di pepe rosa, aromatico e delicatamente fruttato, segna l’esordio scoppiettante di Antares; un’esibizione di sè esuberante, quasi spavalda, ma tenuta a bada da un’indomita indole fiorita. Così pure appare il bel Bradley sullo schermo, nei primi frame della pellicola, nei panni del popolare musicista country-rock Maine: subito avvertiamo un temperamento meravigliosamente instabile che avvampa il pubblico durante le performance; il rocker è del tutto a suo agio con la chitarra calata sulle ginocchia e migliaia di fan adoranti ai suoi piedi.

Eppure, una nube narcotica attraversa i freschi sfolgorii del pepe, ammantando di un’ombra amarognola l’envol speziato: una tuberosa in perfetto equilibrio tra il vegetale dello stelo e il conturbante richiamo lussurioso del fiore si accaparra il palco, allontanando per una frazione millesimale tutti gli altri elementi. Un blackout sensoriale, un buco nero dai contorni incerti ma attraenti. Scopriamo che lontano dalle urla acclamanti, non è una tuberosa, bensì la mano lunga dell’alcol ad afferrare i capelli di Jack. Questi vive ogni santo giorno una fase narcotica, caracollando di bar in bar alla fine dei suoi concerti.
E proprio in una scorribanda alcolica incontra Ally/Lady Gaga, cantante dallo straordinario talento che però si mantiene lavorando come cameriera. E qui, avviene lo “shallow“: il famoso “tuffo dove non si tocca” della colonna sonora magistralmente interpretata dai due; Jackson e Ally si innamorano e l’uno diverrà il pigmalione dell’altra insegnandole a credere non solo nel suo dono, ma anche nella capacità di trasmettere emozioni e idee a chi la ascolta.
“Volevo guardarti ancora una volta”
(Il refrain di Jack ad Ally)
Per l’inquieto Jack dedicarsi ad Ally aiutandola nella sua carriera è un’apparente catarsi da un passato mal digerito e dalle dipendenze. L’idillio musicale e romantico dei due artisti/amanti assume in Antares la dimensione eterea di una nuvola di frangipane: bianco, cremoso e solare nei suoi tipici sentori tropicali, il serafico fiore a stella del Pacifico mitiga e bilancia i colpi di testa della tuberosa e attutisce le piccanti incandescenze speziate.
Ariosa e dolce, la fase fiorita splende sull’amore e si riflette negli sguardi dei due attori che, in alcuni frangenti, sembrano spingersi ben oltre i propri personaggi. Ma alla parabola ascendente di Ally corrisponde inesorabilmente quella a rotta di collo verso l’inferno di Jack: un’esplosione prelude a una tragica implosione. Il viale del tramonto si lastrica di un elusivo fondo ambrato/legnoso in cui la calda sensualità dell’ambra crea una pericolosa “dipendenza” al naso. Il musicista è costretto a ritirarsi in riabilitazione mentre Ally, orfana del suo mentore, si lascia manipolare dall’asettico manager che la spinge al massimo ma ne distorce la genuinità.
Una ricca sfumatura di un sandalo in equilibrio fra nuance lattoniche e legnose suggella il termine del sogno fiorito: un’inaspettata commistione di sfaccettature polverose e asciutte si appropria di Antares, fedele specchio di quel vento stellare che, nel bene e nel male, si propaga dagli astri su chi li circonda. Il successo rivela ora la sua mostruosa testa bifronte: alla gioia degli applausi seguono le fragilità della vita privata, l’uomo non regge il confronto con il proprio personaggio. Per Jack è il tracollo: quando capisce di essere diventato un ostacolo per Ally, non gli resta che un’unica, tragica scelta: togliersi di mezzo. Il fuoco si spegne, inondato dalle lacrime di una Ally superstar che intona in memoria dell’amato la struggente ballad “I’ll never love again” (Non amerò mai più).
Il drydown di Antares volge al termine: rimane il perfetto riverbero del successo passato, incanalato in una scia che racchiude i migliori momenti dell’evoluzione, un “the best” fatto di accenni piccanti su innervature vegetali ed esotiche nuance floreali, umido indolo e soffusa legnosità. Perché una Star risplende con maggiore intensità quando il buio che l’avvolge è più profondo di un abisso e così, Antares di In Astra, pur appena nata, emana una luce omogenea e compatta, sfoderando una longevità che non teme confronti.
Sicura del proprio valore, la supernova di Fabiola e Sofia Bardelli non teme di esprimersi sulla nostra pelle con tutti i suoi pregi, incantevole prima stella di un firmamento finalmente sereno e pronto ad accendere altre sorprendenti Star per farci sognare ancora.
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