Anima Dulcis (Arquiste) incontra Dona Flor e i suoi due mariti (Jorge Amado)
Se mai ci capitasse di fare un piccolo salto nel passato, magari a Città del Messico alla fine del ‘600, e girovagando per le vie venissimo attirati da un profumo delizioso di spezie e cacao infusi insieme, ecco certamente vorremmo assaporare questa leccornia olfattiva, pregustando già quando anche le nostre papille gustative saranno raggiunte dal calore conturbante della misteriosa miscela che ora ci attira col semplice e potente aroma.
Magari potremmo immaginare un cuoco sopraffino intento a mescolare ingredienti nel retro di una taverna; dobbiamo affrettarci, ordunque, poiché un tale effluvio di certo avrà attirato molti altri nasi curiosi e forse rischieremo di restare a bocca asciutta.
Quale sorpresa quando, raggiunto il culmine d’intensità olfattiva, ci ritroviamo tra le mura pacifiche di un convento e non in quelle rumorose di un locale pubblico, avvolti da profumi e non da torte e dolcetti!
Eppure, se siamo arguti, un leggero sorriso dovrebbe dipingerci il volto, poiché il nostro naso sornione ci ha condotti di fronte alla universale natura umana che è eternamente sospesa in equilibrio tra sacro e profano, tra ascesi e mondanità, in una danza senza fine di spirito e carne.
Certe cose trascendono i secoli e le epoche e non è affatto inopportuno che siano proprio delle pie suore a ricordarci la carnalità della natura, miscelando spezie piccanti e calde per creare una composizione olfattiva che rappresenta proprio quel filo sottile sul quale camminiamo, ai cui capi troviamo tutti gli opposti che sono in noi.
Si dipinge così, con una sensualità dichiarata sin dalle primissime note uno dei capolavori della maison Arquiste, Anima Dulcis, da un’idea del suo fondatore Carlos Huber e resa realtà grazie a Rodrigo Flores-Roux e Yann Vasnier, lanciato nel 2012 ed entrato immediatamente nell’olimpo dei profumi che hanno saputo rompere le aspettative di una classe olfattiva, gourmand in questo caso, per offrirci un’interpretazione inedita che attinge al passato e lo dona al futuro.
Anima Dulcis, infatti, si ispira ad una ricetta originale del ‘600 che veniva custodita nel convento Reale di Jésus Maria a Città del Messico, ma il risultato è una composizione di grande sensualità, con un richiamo diretto all’opulenza del barocco seicentesco nell’uso di spezie ricche come la vaniglia messicana, il peperoncino e l’assoluta di cacao che vengono rese attuali e per nulla gourmand grazie a note più asciutte e pungenti come il cumino e la corteccia di cannella.
Anima Dulcis è un’ode alla sensualità in un corpo di donna formosa con gli occhi rivolti al cielo o pudicamente socchiusi; un’anima dolce, appunto, che incanta con la propria spontanea carnalità in un gioco di fuoco e acqua santa, di timidi gesti che nascondono uno spirito appassionato. Sin dall’inizio, apre a note morbide di cacao che, fondendosi con un’infusione di peperoncino, non hanno il tempo di cadere nella dolcezza stucchevole, ma solo a tratti rimandano alla rotondità del cioccolato.
L’idea di gourmand è molto lontana e subito si disperde grazie a note più appuntite e moderne, con la corteccia di cannella e l’origano, che donano attualità alla composizione. I semi di sesamo contribuiscono a scaldare il sillage che però inaspettatamente scopre un cuore speziato-fiorito grazie all’intreccio di chiodi di garofano e cumino che impediscono alla composizione di cadere nell’eccessivamente “gastronomico”, con il gelsomino notturno decisamente penetrante che regala una spiccata nota di sensualità all’eau de parfum.
L’evoluzione di Anima Dulcis è dunque tutta da scoprire, ma senz’altro c’è un trittico di materie prime che fa da fil rouge e che definisce la cifra stilistica di quest’opera tutta orientata verso la voluttuosità dalle carne (con un occhio rivolto al cielo!).
La vaniglia messicana, che compare meglio dopo un po’ di tempo, si presenta burrosa e dolce ma non asfissiante, tanto da farti tornare più e più volte a odorarla, è l’anima custodita al centro del profumo, la curva morbida sulla quale è piacevole indugiare. L’infusione di peperoncino non è mai così forte da coprire le altre note, ma sempre si fa sentire e sostiene con le sue note pungenti le altre note olfattive. E infine l’assoluta di cacao che resta in tutta la composizione, dall’apertura al fondo, e induce in tentazione la gola quando incontra la vaniglia e il peperoncino.
Verso la fine della sua evoluzione, Anima Dulcis si allontana sempre di più dalle tre note dominanti, che pure restano in lontananza, per lasciarci nell’eleganza di una scia fiorita sostenuta ancora dalle spezie, che ora sono sempre più fuse tra loro e offrono un letto di calore sul quale è confortevole adagiarsi. Solo alla fine, un accordo chypre vagamente orientale dà l’ultimo colpo di coda alla creazione allontanandola ancora di più, se mai fosse stato possibile, all’idea di gourmand. Ma tutto questo succedeva nel tardo ‘600 e, poi, nei primi anni 2000.
Orbene, se dovessimo fare un nuovo salto nel tempo e nello spazio, potrebbe capitare di ritrovarci, in effetti un po’ storditi forse da cotanto stravolgimento, nella capitale dello stato di Bahia alla fine degli anni ’60 a camminare per la Ladeira do Alvo e di imbatterci nei profumi, ancor prima che nel portone, della Scuola di Culinaria Sapore e Arte di Dona Floripedes Paiva Madureira.
Non solo, quindi, un salto temporale, ma anche un vero e proprio salto tra le pagine di uno dei più famosi e riusciti libri di Jorge Amado, che nel 1966 fece uscire il suo Dona Flor e i suoi due mariti.
Anima Dulcis di Arquiste, pur ispirandosi al Messico, si ritrova ad ogni pagina di questo meraviglioso affresco della variopinta umanità bahiana. Si racconta la storia di Dona Flor, giovane fanciulla che fa della sua passione culinaria un’attività, nonostante le opposizioni della madre, Dona Rozilda, che la vorrebbe sposata con un buon partito in grado di sistemarle (tutte e due!) nella posizione sociale ed economica che la megera tanto desidera (e che mai avrà!).
Mentre dona Rozilda metteva a punto i suoi piani, Flor si faceva una buona fama come maestra d’arte culinaria, specializzata in cucina baiana. Aveva avuto da madre natura il dono di saper scegliere gli ingredienti…
Dona Flor, però, non è disposta a scendere a patti con il suo cuore e cade, completamente innamorata, tra le braccia ardenti dello scapestrato, meraviglioso Vadinho. Nullafacente, giocatore accanito, provetto ballerino e amante indomito Vadinho rende la vita di Dona Flor un turbinio di estasi e dolore, ma la rende anche donna sicura di sé e indipendente, tanto che, alla sua morte improvvisa durante il carnevale, lei resta affranta, ma non annientata. E si apre un bruciante periodo di lutto, che riduce la povera Dona Flor un esempio di morigerata vedovanza, fuori, e un’inferno di sensualità inappagata dentro.
Come vivere senza di lui? Asfissiata dall’assenza, dibattendosi nella nebbia, legata in catene, come trasporre i limiti del desiderio impossibile? Come ritrovare la luce del sole, il calore del giorno, la brezza mattutina, il vento della sera, e le stelle del cielo e il volto della gente?
Ahi, Dona Flor, la vita ci coglie, anche se ci perdiamo nel profondo dolore, e ci rapisce nel suo flusso riportandoci a lei, e così è anche per la bella vedova che lentamente, complice una congrega colorata e bizzarra di amiche e conoscenti, ognuna pronta a dispensar consigli (e pettegolezzi), ma tutte desiderose di rivedere il sorriso e la serenità nella bella Dona Flor.
E così, il sorriso e la serenità si presentano negli abiti immacolati e nei modi misurati del Dottor Teodoro, stimatissimo farmacista dal brillante, quanto educato, futuro. Dona Flor, novella sposa, ritrova il sorriso nella sua nuova vita, tanto diversa da quella del suo precedente matrimonio, tanto quanto diversi sono l’inferno e il paradiso.
Tanto le aveva dato: pace e sicurezza, tranquillità, ordine e comodità, tutto ciò che lui aveva potuto indovinare dei suoi desideri, una posizione d’una certa preminenza, e neppure un dispiacere, neppure uno spavento.
Ma, ahimè, la natura umana non è fatta per la tranquillità esclusiva dei giorni, per l’amore regolarmente programmato del Dottor Teodoro, il mercoledì e il sabato con bis assicurato al sabato, facoltativo al mercoledì, per le regole e l’ordine. Dona Flor comincia ad accusare la monotonia, l’eccessiva sicurezza e quasi senza accorgersene il pensiero va allo scapestrato Vadinho, che tutto era tranne una sicurezza.
Non era più una persona sola, intera e integra, era divisa in due: la donna onesta e la spudorata, il suo spirito retto da un lato, la materia avida dall’altro.
Come fu che Vadinho, il morto, si presentasse nudo e visibile solo agli occhi di Flor, nessuno sa dirlo, ma tant’è ne succedono di cose strane e misteriose nei desideri umani! Ecco che il paradiso e l’inferno si palesano a Flor, offrendo ognuno le proprie delizie, perché lei ne possa godere.
“Non lo dire, tesoro… Tu hai un gusto speciale per la fedeltà e per la serietà, lo so. Ma ora è finita, perché cercar d’ingannarsi? Né solo con me, né solo con lui, mia Flor ingannatrice, ma con noi due, sussurra irriverente il bel Vadinho ad una indecisa Dona Flor. Tutto perfetto, amor mio: io, tu e lui; che vuoi di più? Il resto è inganno e ipocrisia, perché vuoi continuare ad ingannarti?”.
Già, perché continuare a fingere una natura integra, quando l’uomo è per definizione un carnevale di emozioni contrastanti? Non erano forse delle pie suore che, nel convento di Jésus Maria, producevano profumi odorosi di carnalità? Non era forse Flor a desiderare di salpare verso estasi ed euforia sola nel letto o accompagnata a un marito che per pudicizia coniugale tirava un bianco lenzuolo a coprire le forme muliebri, quando lei avrebbe voluto che quel benedetto lenzuolo volasse per altri lidi?
E così, la nostra cara Dona Flor, integerrima moglie di un devoto Farmacista, stimatissima insegnante alla scuola di culinaria Sapore e Arte, acconsente alla felicità e… ai suoi due mariti!
Un triangolo speziato, questo, al cui centro, come Anima dulcis, troviamo Dona Flor, morbida, burrosa vaniglia, spolverata da note calde di cannella. Attorno, in una contesa senza vincitori e vinti, le note impertinenti e sfacciate del peperoncino Vadinho e quelle calde e rassicuranti del Dottor Teodoro, un perfetto cacao, panacea di tutti i mali, porto sicuro perennemente in calma. E poi, tutta la giostra di personaggi e personalità che ruotano attorno ai nostri tre protagonisti (che nel profumo di Carlos Huber assumono le sembianze di spezie, fiori e semi aromatici), per sostenerli, a volte opporvisi, ma sempre dir la loro creando questo dipinto carnevalesco e magico che è Bahia e la storia di Dona Flor e dei suoi due mariti.
Al braccio del felice mortale, dona Flor sorride affabile: ah! Quella mania di Vadinho di accompagnarla per strada toccandole i seni e le natiche, svolazzandole attorno come se fosse la brezza del mattino. Di un mattino lavato di domenica, in cui passeggia dona Flor, lieta della sua vita, soddisfatta dei suoi due amori.
Dunque, quando prenderete tra le mani la perfetta rotondità del flacone che contiene Anima Dulcis, quando vi farete tener compagnia dal suo sillage che svela i lati inaspettati della vaniglia, del peperoncino e del cacao, pensate alle pie suore, ma pensate anche a Dona Flor e ai suoi due mariti e poi pensate a voi stessi e a tutto il meraviglioso mondo che vi portate dentro e che, magari, non sempre è visibile agli occhi.
Scommetto che un leggero sorriso vi dipingerà il volto.
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Recensione bellissima e appassionata, mi intriga molto questa fusione di cacao, peperoncino e vaniglia in cui fa capolino il gelsomino notturno.
Non ho mai sentito nulla di Arquiste, penso proprio che dovrò rimediare con Anima Dulcis… e magari potrei anche leggermi questo romanzo di Jorge Amado.
Ed io che su dona Flor avevo immaginato un patchouli scaldato dall’ambra. Potrei cambiare idea solo se riuscissi a sentire anima dulcis, purtroppo nella mia città non lo tengono…
Corrispondenza azzeccata come al solito, complimenti!! La dulcis è calda ma non pesante, la vaniglia si sente solo in sottofondo, la parte che mi fa impazzire è il passaggio dove il gelsomino si sporca di cacao e brucia sotto le spezie. Bella, bella, bella!!
Adoro questo profumo,purtroppo la mia pelle non sopporta il cumino perciò l’ho regalato a mio marito che lo porta con mia e sua grande soddisfazione!
Ciao Jordana, abbiamo lo stesso metodo!! Anch’io molti profumi li sento in differita: regalo ad amiche, sorelle, mamma, papà e fidanzato quelle fragranze che amo con il naso e il cuore ma che poi sulla mia pelle tirano fuori note con cui non vado d’accordo e che la mouilette mi aveva tenuto nascosto.