Alkemi ~ Laboratorio Olfattivo (Perfume Review)
Nel 1977 sulla scena musicale inglese e americana irrompe il fenomeno punk e spazza via quel che resta del rock progressivo del decennio precedente che dopo un esordio straordinario era involuto su se stesso producendo opere magniloquenti e retoriche, lontane da ogni forma di spontaneità creativa.
Come un anticorpo naturale della musica stessa, il punk la libera da sovrastrutture ormai pesantissime e artificiose e si fa mezzo per veicolare la rabbia e la creatività di tanti giovani artisti, spesso provenienti da frange sociali “minori”. Il risultato sono lavori dal suono a dir poco grezzo, strutture musicali elementari, esecuzioni “amatoriali” (a voler essere buoni), ma tanta tanta energia distruttiva, che riesce a dare voce a un disagio sociale e generazionale e diventa fenomeno anche culturale e di costume.
In mezzo a questo fermento rumoroso e aggressivo, a Londra un gruppetto di amici con un grande amore per il rock delle origini, tra grandi sacrifici e terribili ristrettezze gira per i pub della città e suona una musica asciutta, essenziale ma mite e raffinata, caratterizzata da un suono voluttuoso e malinconico di chitarra dai toni blues, con venature qua e là di jazz e country. E al contrario delle band punk che spopolano in quel momento, questo gruppo di amici la sua musica se la suona proprio bene, da virtuosi. Così succede che, anche se completamente estranei a quanto sta succedendo intorno a loro, i nostri amici si fanno notare da un DJ della BBC, a cui avevano spedito un demo tape nella speranza di avere un suo parere, che tanto li apprezza da decidere di mettere in scaletta nel suo programma radio un loro pezzo.
E quel pezzo va forte, tant’è che di lì a un anno gli amici musicisti ottengono un contratto discografico e pubblicano il loro primo album, che in sintonia con l’aspetto normale della band e con il tono essenziale del sound si chiama semplicemente con il loro nome, Dire Straits, che con una certa ironia significa “terribili ristrettezze”, tremende avversità, cose che da lì in avanti saranno solo un vago ricordo per un gruppo che nella sua carriera venderà oltre 120 milioni di dischi.
A testimonianza della straordinaria abilità di musicisti dei Dire Straits e del loro chitarrista e leader Mark Knopfler c’è un bellissimo album live dal titolo Alchemy, registrato in occasione del concerto all’Hammermith Odeon di Londra il 23 luglio del 1983, dato alle stampe senza alcun ritocco o sovraincisione di sorta per restituire intatta la magica alchimia della band nelle sue esecuzioni dal vivo.
Il disco ricorda un’altra indovinata alchimia, stavolta a vantaggio dell’olfatto, quella operata nel 2010 da Marie Duchêne per Laboratorio Olfattivo nella realizzazione di Alkemi e la somiglianza non è solo fonetica: ad accomunare i due lavori ci sono gli stessi elementi di maestria e discrezione, un sapiente virtuosismo nell’esecuzione al servizio della ricerca di un risultato che non vuole attirare l’attenzione a tutti i costi alzando la voce o facendo chiasso, una fusione raffinata e seducente di pochi elementi che produce un risultato incurante delle mode del momento ma capace di conquistare.
Discreto ed elegante anche il packaging, quello solito di Laboratorio Olfattivo, con il flacone dall’aspetto officinale che ben si addice al lavoro del sapiente alchimista, e una targhetta identificativa che più semplice non si trova nemmeno in una farmacia galenica. Bello anche il colore del jus, dorato e caldo, in sintonia col carattere di Alkemi, un profumo concepito come un unguento balsamico orientale e legnoso dalle note intense, seguite da una coda lunga.
Infatti Alkemi apre le danze con una testa piena e aromatica di ylang-ylang che ti avvolge subito in un caldo abbraccio dolce e narcotico, dai toni seducenti e sensuali che la presenza di una nota d’ambra non fa altro che rinforzare, delineando subito la connotazione molto orientale della fragranza. In un certo senso è una testa “strana” perché parte molto più forte di come sarà il tono generale del jus, via via più docile e sottile, e perché usa note che ci si aspetterebbe nel cuore o in coda, col risultato di durare a lungo, ed è un bene, poiché è anche la parte più bella e emozionante della fragranza.
Viene lasciato alla successiva fase di cuore il compito di svelare l’altra vera anima del jus, un carattere legnoso che si manifesta con la comparsa di un patchouli molto educato e di cedro dell’Atlas, abbellito da note resinose di incenso e mirra. Da qui in poi l’alchimia fa il suo lavoro e le varie note si fondono in un coro in cui diventa difficile cogliere le singole voci, piuttosto si apprezza l’armonia generale e il tono complessivo.
In particolare sono le note resinose a perdersi nel carattere legnoso di Alkemi, aiutate in questo dalla transizione verso la fase finale di coda, dove la fragranza scivola su un letto di bois de cachemire e legno di sandalo profumati da una vaniglia ambrata, a completare una trasformazione che pare ciclica su un accordo che ripropone (in tono smorzato) la seduzione e la dolcezza dell’incipit.
In conclusione Alkemi è un jus che, come le canzoni dei Dire Straits, ammalia per il suo equilibrio raffinato e sensuale e conquista chi non ha paura di andare controcorrente ma con stile; per tutti quelli che nel ’77 avrebbero urlato canzoni punk, quasi quaranta anni dopo ci sono ancora dozzine di fragranze chiassose e arrabbiate ad aspettarli in profumeria.
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