A Pitti Fragranze 16 la profumeria artistica sperimenta e sfida i cliché (1/2)
Nel contesto di una Leopolda inusitatamente calma, da poco si è conclusa la sedicesima volta di Fragranze, lo storico appuntamento di Pitti Immagine con la profumeria d’autore.
Chi vi scrive non ha potuto soffermarsi a Firenze che un sol giorno per cui si avverte che il resoconto che qui segue, e con esso anche la presentazione delle creazioni che ci hanno colpito di più, non sarà necessariamente esaustivo. E questo perché l’edizione di quest’anno è stata contrassegnata da diversi “fuori salone” che non c’è stato tempo di visitare e che hanno distratto dall’ex stazione fiorentina parte delle novità.
Una delle fragranze più attese era la messa a punto del nuovo profumo di Antonio Alessandria, Fàra, la cui anteprima avevamo incontrato ad aprile, a Milano. Le aspettative c’erano ed erano importanti e, per quanto ci riguarda, sono state largamente soddisfatte. Alessandria si è confrontato con una famiglia olfattiva, quella degli agrumi, categoria nella quale il rischio di cadere nella trappola della banalità è molto alto. Ebbene, non solo ha evitato ogni insidia, ma è stato capace di ammodernare l’idea di una fragranza esperidata, non senza strizzare un occhio ai classici. Attraverso Fàra, il Naso catanese ci ha svelato una tradizionale istituzione della sua città, i chioschi dei bibitari, con particolare attenzione alla loro limonata, la cui ricetta comprende selz, succo di limone spremuto al momento, menta e una punta di sale. Fàra coglie un’istantanea, è il profumo del rivolo di limonata che ci cola dalle labbra per la foga di dissetarsi e che evapora dal collo: odora quindi di limone, di menta ma che ha anche un sapore umano, quello del cumino, così sapientemente ben bilanciato con tutto il resto della formula, tanto da conferirle una seducente sfaccettatura carnale.
Olivier Durbano elegge ancora una volta Firenze per presentare la sua quattordicesima poesia di pietre e profumo. L’esoterismo alchemico di Durbano si rivela attraverso l’odorato con una meditazione sulla pirite. Pyrit Ana Tra, dove “Ana” è il nome della Grazia in ebraico antico e “Tra” richiama l’illuminazione, il passaggio dell’uomo dall’ombra alla luce. Tre sillabe che raccontano una fragranza fatta di note selvagge, dove il mediterraneo mastice di lentisco e il galbano si tuffano nelle tinte scure di liquirizia, oudh e delle note cuoiate della betulla per poi riemergere nelle note di fondo in tutto il loro resinoso splendore: questo dopo che, su tutte le note di cuore, ha aleggiato un accordo che può evocare ad alcuni l’odore di un fumoir poco dopo essersene andato l’ultimo frequentatore. Un profumo elegante, dunque, che porta anche un pizzico di voglia di cambiamento: lo raccoglie infatti un nuovo packaging, una bottiglia bombata con una serigrafia che riporta caratteri mediorientali anziché il consueto flacone squadrato con il monogramma asiatico a cui eravamo abituati.
Dal Signore degli Incensi passiamo ora a chi con l’incenso si misura per la prima volta. Simone Andreoli compone per il suo Diario Olfattivo Smoke of God, un viaggio notturno attraverso il deserto dell’Oman che non poteva essere descritto se non con uno dei più preziosi prodotti di quella terra: un incenso di sublime qualità. L’apertura del profumo è religiosa, a memoria del fatto che per molti secoli le volute di questa preziosa resina sono state il linguaggio comune tra uomini e dèi, poi la piramide matura sfaccettature aromatiche e legnose. Insieme all’incenso dell’Oman, rinforzato dall’omologo proveniente dalla Somalia, Andreoli sparge, infatti, sul proprio braciere elemi, assenzio, legno di amyris e cashmere; mentre le note di fondo sono rinserrate da un accordo cuoio a metà tra austerità e morbidezza.
Anche Laboratorio Olfattivo ricorre all’incenso con Sacreste, un gioco a due note di incenso particolari, l’Incenso super essenza e il Fumencens, che si mescolano con le note speziate della testa (elemi, zafferano, cardamomo e pepe nel cuore) e le note muschiate e legnose del fondo (legni di cedro, guaiaco, c’è anche del cashmeran a rinforzo). Una formula che si propone il fine di liberare questa materia prima dal connubio con cliché olfattivi ed esplorarne il potenziale voluttuoso.
Filippo Sorcinelli e il suo Staff ci hanno accolti in uno stand tutto tinto di rosso, rosso come il sangue che è il filo conduttore della nuova fragranza di UNUM, but_not_today, un extrait de parfum fatto con 47 materie prime di sangue – per celebrare Hannibal Lecter e la sua impossibile storia d’amore con Clarice – e con 15 note di giglio bianco per omaggiare la città più amata dal celebre psichiatra uscito dalla penna di Thomas Harris e portato sul grande schermo da Anthony Hopkins, Firenze. E per intensificarne l’omaggio Sorcinelli ha partecipato al ciclo di appuntamenti culturali che hanno reso il capoluogo toscano “La città delle fragranze” organizzando un evento musicale a Palazzo Capponi, sede di molte riprese della trasposizione cinematografica del capitolo successivo a Il silenzio degli innocenti. Ad arricchire le novità anche due nuovi registri dell’organo – che in questo caso non è solo quello del profumiere – di Extrait de Musique: Violon Basse 16 e Unda Maris 8, entrambi appartenenti alla famiglia orientale.
Giovanni Sammarco ci ha invece presentato Daria. Improvvisandosi stilnovista, Sammarco ci offre la sua personale visione della donna amata e, collocandosi nella tradizione classica degli epiteti greci, la ritrae come “μελλιχομείδη”, donna “dal sorriso dolce come il miele”. L’effetto raggiunto sorprende per l’intensa piacevolezza della fragranza: l’abbraccio della gardenia e del gelsomino viene trasformato dal miele in un candido velo che si stende sulla pelle presentando ora riflessi solari, ora lattei, che vanno a mitigare l’acuminata spinta indolica dei fiori bianchi, il cui deciso carattere rimane tuttavia sotto la traccia della delicata superficie del profumo.
Vola alto Pierre Guillaume e dall’alto getta il suo sguardo sui panorami dell’India. Immaginando di sorvolare le stesse foreste dalle quali guardava filtrare la luce e descritte in Komorebi, Guillaume cambia punto di vista per continuare il suo personale approfondimento di quel gruppo di note che descrivono il verdeggiare della natura riscrivendo il tema del gelsomino già affrontato in Drama Nuuï. Ne esce Jasmagonda, in cui il classico accordo verde-acquatico, che si ottiene combinando foglie verdi e fiore di magnolia, viene lavorato con un gelsomino indiano innestato su legno di cedro dell’Himalaya, per poi poggiarsi su un fondo a cui una mescola di tonka e vaniglia conferisce un tratto legnoso orientale molto moderno e quasi cuoiato.
(segue)
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Beati voi che avete trovato qualcosa di interessante, per me questa edizione è stata di una delusione epica: noiosa, con molti deja vù e tantissimi marchi di finta nicchia, che chissà se mangeranno il panettone… Mi auguro che Pitti si dia una svegliata e cambi rotta, facendo una rigorosa selezione degli espositori.